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Da Paolo VI a Francesco, la rotta della Chiesa non è mutata e non può mutare. Parla Milone

Mancano pochi giorni alla canonizzazione di Paolo VI, Giovanni Montini, il Papa di Concesio, per molti il Papa della modernità, della chiusura del Concilio Vaticano II. Iniziatore di tante novità nella Chiesa, una su tutte quella dei viaggi internazionali. Oggi l’eco del pontificato montiniano si ascolta con forza nei gesti e nelle parole di Papa Francesco, nella sua apertura a Oriente, al dialogo interreligioso, nello spirito ecumenico di pace e di ascolto. Allo stesso modo, però, sono i tempi ad essere cambiati, entrati nel terzo millennio, nell’era delle tecnologie della comunicazione, dei social network. Di questi ed altri aspetti Formiche.net ne ha parlato con Massimo Milone, responsabile Rai Vaticano e autore del libro edito dalle Paoline “Quel giorno a Gerusalemme. Da Paolo VI a Francesco”, con la testimonianza speciale del Custode di Terra Santa Francesco Patton.

Tra poco Paolo VI verrà canonizzato. Cosa ci ricorda quell’epoca “eccezionale”, come la descrive lei nel suo ultimo libro?

Allora fu una grande pagina spirituale, ecumenica, comunicativa, quella di Paolo VI. Sull’onda del Concilio Vaticano II, come ricordò in un reportage storico il grande regista Ermanno Olmi, in un contesto storico segnato da violenza, indifferenza, egoismo, tanti uomini e tante donne si sentono oggi smarriti. Ed è proprio con la testimonianza comune della lieta notizia del Vangelo, come scrisse Olmi, che potremmo aiutare l’uomo del nostro tempo a ritrovare la strada che lo conduce alla verità, alla giustizia e alla pace. Cinquant’anni dopo, era il 2014, Papa Francesco, ritornando sulle orme di Paolo VI, in Terra Santa, delinea lo stesso scenario. In un’epoca di smarrimento Papa Francesco propone la rivoluzione spirituale, che è la rivoluzione del Vangelo, duemila e più anni dopo. La religione dell’essenzialità evangelica. Ieri come oggi, c’è uno scenario geopolitico in grande fibrillazione. Al centro, la questione Gerusalemme, che ieri come oggi non è stata risolta. Gerusalemme città della pace ma anche delle guerre, delle lacerazioni e delle divisioni.

Quali sono le analogie con il mondo di oggi?

Molte sono le analogie tra ieri e oggi, tra lo scenario di Paolo VI e lo scenario di Papa Francesco. La stessa, però, missione di speranza. Io ho ricostruito lo scenario di ieri e quello di oggi. Il primo Papa che vola in aereo lasciando il Vaticano è Paolo VI: era il tempo dei telex, della carta stampata, mille inviati speciali a seguito, grandi firme anche laiche come Dino Buzzati, Camilla Cederna, Giorgio Bocca. Cinquant’anni dopo Papa Francesco vola in Terra Santa al tempo dei social, quando basta un tweet per parlare a milioni di persone, e un Iphone per trasmettere una diretta televisiva. Ho voluto ripercorrere questo scenario, che è di fede ma anche di una comunicazione globale dei pontefici. Da allora con Paolo VI cambiò il modo di  comunicare dei pontefici, con particolare riguardo al mondo dei non credenti. Con Papa Francesco, cinquant’anni dopo, questa piazza mediatica è iper planetaria. Il Papa parla a tutti con grande semplicità, ma anche con grande profondità, e racconta la provocazione del Vangelo.

La rivoluzione spirituale dell’essenzialità evangelica, un’immagine molto bella. Quanto c’è di quella Chiesa del post-Concilio sancito da Papa Montini nella Chiesa di oggi, di Papa Francesco? Che cammino si è fatto in questi anni?

Papa Francesco è ispirato costantemente da Paolo VI, sembra seguire con entusiasmo ovviamente immutato i contesti geopolitici, nell’insegnamento di Paolo VI che disse a tutta la cristianità cattolica: allarga lo spazio della tua penna. Papa Francesco ha usato un’espressione bellissima: una Chiesa ospedale da campo. Una immensa tenda per accogliere, confrontarsi, dialogare. Questo è forse l’insegnamento più bello del Concilio Vaticano II che Papa Francesco in questi circa sei anni di pontificato sta mettendo in essere. Non senza difficoltà, e vediamo quello che è accaduto con la lotta agli abusi e alla corruzione, dentro e fuori la Chiesa, vediamo i contrasti tra fazioni, che esistono, ma Papa Francesco va avanti, con coraggio. Importante è ricordare quei giorni, quelli del Concilio Vaticano II, assieme a un santo come Paolo VI, questo grande timoniere che mise la Chiesa di fronte a sé stessa, e cinquant’anni dopo Papa Francesco non fa sconti a nessuno. Mette la Chiesa di fronte a sé stessa, nel terzo millennio, di fronte alla sua, oserei dire, millenaria responsabilità, di accompagnare la storia degli uomini, di tutti gli uomini, di chi crede e di chi non crede. La Chiesa respira oggi a pieni polmoni una rinnovata, profonda, forte ventata di universalità, con Papa Francesco. Si guarda Oltretevere, alla Russia, alla Cina: le nuove frontiere della speranza.

Nella rivoluzione digitale Papa Francesco oggi ci è immerso. Lei segue le vicende dei papi da una postazione che è quella delle televisione pubblica. Come è cambiata la figura del Pontefice, dal punto di vista non tanto istituzionale ma propriamente sociale, della sua percezione pubblica, e come può cambiare ancora?

Cinquantanni fa la Rai aprì una grande pagina di servizio pubblico, e di racconto a tutto campo dei pontefici con le differite che fece dalla Terra Santa. Oggi siamo immersi nella rivoluzione dei social, delle tecnologie più sofisticate, di una globalizzazione mediatica, ma anche nell’era delle fake news, come ha ricordato Papa Francesco. La Chiesa non può nascondere niente e non intende farlo, ma chiede anche ai giornalisti un’assunzione di responsabilità. A me piace ricordare molto quando, nell’aula Paolo VI, il 16 marzo del 2013, appena eletto, nell’udienza ai rappresentanti dei media, oltre seimila giornalisti da tutto il mondo, Papa Francesco ci disse: raccontate la bontà, la verità e la bellezza. Una provocazione immensa, in questi tempi di cinismo mediatico. E aggiunse una cosa, che secondo me dovrebbe essere una costante della nostra professione, ieri come oggi: studiate, studiate, studiate, perché il racconto della Chiesa non è il racconto della politica, dell’economia, del costume, dello spettacolo. Ma è il racconto della storia degli uomini, di una offerta di rivoluzione spirituale che ha duemila anni di storia. Questo mi sembra per noi giornalisti un mandato e un onere molto pesante ma anche molto affascinante.

Nel 1964 Paolo VI decolla da Roma per la Terra Santa. Oggi la Terra Santa vive anni di grande caos, e di conflitti, ai quali Bergoglio non ha mai smesso di lanciare appelli. Dobbiamo immaginare in quel viaggio, ripetuto da Francesco, anche il senso dell’attuale pontificato, e della direzione della Chiesa?

Certamente va in quella direzione. Io ricordo le parole di Paolo VI, il 4 gennaio del ’64. Oggi per noi, disse, è realizzato ciò che era l’oggetto dei desideri di tanti uomini. Visitare la tomba di Cristo. Possiamo ricordare, finalmente, questo giorno che Dio ha fatto, un giorno di gioia e di felicità. Il 26 maggio del 2014 Papa Francesco in Terra Santa che la costruzione della pace esige anzitutto il rispetto della libertà e dignità di ogni persona umana, ebrei, cristiani, musulmani che credono ugualmente di essere creati da Dio e destinati alla vita eterna. A partire da questo punto fermo, che abbiamo in comune, è possibile, disse Papa Francesco, perseguire l’impegno per una soluzione pacifica delle controversie e dei conflitti. Insomma, la rotta della Chiesa ieri come oggi non è mutata e non può mutare. Ricordo anche che tra Paolo VI e Papa Francesco ci furono due grandi pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che dissero con parole diverse ma con lo stesso spirito queste cose, visitando e baciando la Terra Santa.

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