Nell’autunno 2017 l’intera comunità internazionale si oppose al referendum indipendentista curdo. Contro l’iniziativa di Massud Barzani, per una volta, persino Washington e Teheran si trovarono d’accordo. Senonché, una voce rimase fuori dal coro: la Russia. Infatti Mosca si limitò a vaghe dichiarazioni ambigue in merito alle “legittime aspirazioni curde”, senza però esprimere condanna o preoccupazione. Senonché, una settimana prima del voto referendario, una delle principali major russe del settore oil&gas, Rosneft, annunciò la firma di un accordo strategico proprio con Erbil. Si trattava di un contratto da un miliardo di dollari per la costruzione di un nuovo gasdotto, che collegasse il Kurdistan alla Turchia e, di lì, al mercato europeo.
Poco dopo, nell’ottobre 2017, Mosca mise a segno un secondo accordo strategico. Con un investimento di 1,8 miliardi di dollari, Rosneft acquistò il 60% dell’oleodotto realizzato nel 2013 dal governo curdo, con l’intenzione di aumentarne le capacità di un terzo. Si tratta dell’arteria petrolifera che, quando le tensioni con Baghdad sono esplose, ha permesso ai curdi di esportare indipendentemente in Turchia, senza il controllo del governo federale.
Considerato che il presupposto dell’indipendenza politica curda è l’autonomia economica, i due contratti siglati coi russi erano una promessa di libertà, garantendo esportazioni senza il controllo di Baghdad. Dunque, per il Kurdistan, gli accordi di settembre e ottobre 2017 intervenivano in un momento estremamente critico; a settembre, l’embargo finanziario imposto dal governo federale come reazione al referendum aveva messo in ginocchio il governo federale, mentre a ottobre la perdita dei giacimenti di Kirkuk, occupati dai governativi quasi senza colpo ferire, aveva dimezzato le esportazioni curde.
In realtà, grosso modo dal 2012, la Russia si era impegnata nel settore oil&gas curdo con un crescendo di contratti per esplorazione e produzione, investimenti, finanziamenti e progetti. Dunque, in pochi anni Mosca è riuscita a posizionarsi come partner strategico del governo curdo, assumendo un ruolo indispensabile sia nel settore oil che in quello del gas. Del resto, secondo l’Opec, il Kurdistan Iracheno ha il 30% del petrolio e l’80% del gas di tutto l’Iraq e, se fosse uno stato indipendente, sarebbe il decimo al mondo per riserve di oil&gas; peraltro, proprio il gas costituisce un enorme potenziale praticamente non sfruttato. Attori di questa penetrazione commerciale sono state inizialmente Gazprom, ma poi soprattutto Rosneft, entrambe strettamente legate al presidente Putin.
Si tratta quindi di una strategia pervasiva e di lungo termine, che però non è dettata solo da obiettivi economici: a Mosca interessa anche avere influenza in un’area geopoliticamente chiave. Infatti, il peso ottenuto da Mosca nel settore energetico, vitale per la sopravvivenza del governo di Erbil, rappresenta una leva politica non solo sul Kurdistan, ma sull’intero teatro Medio Orientale. Situato tra Turchia, Iran, Iraq arabo e Siria, il Kurdistan è snodo della questione curda e degli approvvigionamenti energetici iracheni, turchi e, dunque, potenzialmente anche europei. Inoltre, nella regione curda irachena si intersecano dinamiche geopolitiche non solo tra Da‘esh, Baghdad, Ankara e Teheran, ma anche tra Usa, Iran e rispettivi proxy e alleati; per inciso, in Kurdistan è oggetto anche degli interessi di Israele e Arabia Saudita.
Del resto, le iniziative russe nel Kurdistan iracheno devono essere lette in una prospettiva più ampia. Mosca sta rafforzando la propria presenza in tutto il Medio Oriente al fine di rompere l’isolamento internazionale iniziato nel 2008 con l’invasione della Crimea, nonché per alleggerire l’impatto economico delle sanzioni che ne sono seguite e, infine, per ottenere un’influenza geopolitica sulla cui base negoziare a pari con gli Usa. Nello specifico, poi, per quanto riguarda l’oil&gas, l’attivismo russo è spinto anche dalla volontà di rafforzare la propria posizione sul mercato internazionale.
In conclusione, posizionandosi in Kurdistan, Mosca può cercare di porsi come influencer o mediatore regionale, oltre che come importante fornitore di gas per l’Europa. È però da evidenziare che la politica di investimenti russi in Kurdistan è, da un lato, favorita dallo stato di necessità finanziaria del governo curdo, dall’altro sfrutta la riluttanza delle major occidentali a investire in una regione problematica e in un momento di grandi incertezze. In altri termini, la Russia ha deciso di correre un forte rischio economico-finanziario nella prospettiva di ottenere importanti vantaggi politici. Però, per il futuro, rimane da vedere se il proverbiale pragmatismo ed opportunismo russo riusciranno a schivare i rischi politici e finanziari di un’area avara di stabilità e ricca di petrolio quanto di conflitti.