Skip to main content

Caro Mieli, no non è fascismo

mieli

Paolo Mieli sul Corriere della Sera contesta le affermazioni di Moscovici, il quale ha evocato il fascismo, dopo che un parlamentare europeo leghista ha calpestato i suoi appunti. È una accusa troppo facilona dice Mieli, già rivolta, nella storia, dalla sinistra, ai suoi avversari politici, a De Gaulle, ad Andreotti, a Craxi. Sono etichette pericolose che rimangono attaccate alle persone, aggiunge. È vero! Ma è anche vero, che in quell’epoca, Mieli non ha mai fatto un editoriale per spiegare che non era fascismo. Nemmeno quando Craxi era pubblicato sulle prime pagine dei giornali con gli stivaloni. Ma non è questo il punto adesso.

Moscovici ha sbagliato, perché ha scaldato i cuori dei neo-nazionalisti che vedono e vogliono far vedere l’Europa come nemico esterno. Ma Mieli si gira dall’altra parte, non vuole vedere. Come ci si è girati dall’altra parte quando 5 partiti storici furono sciolti nei tribunali e nelle redazioni dei giornali, a favore, anche, di chi usava troppo facilmente il termine fascista con gli avversari. Come ci si gira dall’altra parte quando, domenica da Lucia Annunziata, sempre Mieli dice che non bisogna preoccuparsi delle cose che dice Dugin, ideologo di Putin, e, dice lui, di Salvini. Dugin, uno degli eredi di Il’in, filosofo della violenza, e della fine della democrazia liberale, che ispirava Hitler e aveva invidia per quello che Mussolini faceva in Italia. No non è fascismo. Ma si può dire: cosa c’entra il fascismo? Senza peccare di faciloneria? Quando si pensa al fascismo, vengono in mente la guerra, le leggi razziali, le limitazioni formali della libertà di stampa, la trasformazione formale del Parlamento in una assemblea di dipendenti statali. E poi i pennacchi, le purghe, l’olio di ricino, i manganelli, le violenze fisiche, gli assassinii. No, non è fascismo quest’epoca, non è questo fascismo. Lo dice bene anche Antonio Scurati, autore del magistrale romanzo, M il figlio del secolo, dove pure descrive molti tratti di quell’epoca che si possono sovrapporre alla nostra.

Dall’odio per la democrazia parlamentare, all’emergere degli estremismi di sinistra e di destra, in nome della fine della sinistra e della destra, allo sdoganamento della violenza e dell’odio e dei sentimenti razzisti. In comune con quella vicenda storica c’è anche il profilo no-ideologico dei leader. Mussolini bocciò il profilo ideologico che il filosofo Gentile voleva attribuire al fascismo. Mussolini non voleva una etichetta, gli interessava solo il potere, ha scritto Montanelli: “Arrivarci da destra o da sinistra era per lui indifferente. E infatti ci era arrivato da tutte e due le parti, usando il manganello contro le piazze rosse, per conquistare i ceti moderati di destra, vogliosi di ordine, e inaugurando una politica assistenziale, autarchica e protezionista che gli conquistava i ceti popolari, smaniosi di sussidi”. Montanelli queste cose le scriveva decenni fa e non parlava del contratto di governo gialloverde, né del reddito di cittadinanza, né dei profili social di Salvini e Di Maio, né del blocco dei porti, né dei migranti in crociera.

Caro Mieli. No non è fascismo. Cosa c’entra? Molti giornali tacciono, senza essere stati chiusi. Molti intellettuali tacciono, senza minaccia di licenziamento, per motu proprio. Hanno perso la voce, dopo il grande sforzo compiuto contro il pericoloso referendum costituzionale. E Gramsci, come Montanelli, non c’è più e non può commentare così il mondo di oggi: “Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta, di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose, lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano”. No, nessuno oggi commenta così quello che succede.

Oggi dobbiamo accontentarci dei giochini intellettualistici di Paolo Mieli. O delle giustificazioni del peggio di un Galli della Loggia. Che fra la deriva neo-nazionalista odierna e i difetti della democrazia di ieri non hanno dubbi, sono ancora appassionati a raccontare, con sprezzo, i difetti di ieri. E non riescono a vedere come, in questa epoca, cresca un umore negativo, verso la democrazia come difetto. No non è fascismo. Nessuno verrà a prenderci in casa per le nostre idee o per la fede religiosa. Che discorsi. Ma leggendo Adriano Tilgher, intellettuale liberale, ingiustamente dimenticato, vissuto durante il fascismo, che ho scoperto attraverso un scritto di Claudio Giunta sul Foglio, qualcosa di più si può capire di questa epoca. Quella fascista? La nostra? Vediamo. Tilgher parlava del nazionalismo mentre lo stava vivendo. È l’inganno peggiore per il popolo, dice. Distinguendo dal patriottismo, dove: “C’è un fondo d’amore per il luogo in cui si è nati, per la propria famiglia, per il proprio popolo”. Il nazionalismo è invece: “Fatto di orgoglio, di volontà di potenza, trasposti dall’io al corpo collettivo”.

Il patriottismo protegge, il nazionalismo aggredisce. Prospera sulla guerra, la cerca, vive del risentimento dei vinti dalla vita, la maggioranza, soprattutto dopo le guerre o dopo le grandi crisi. Che cercano la vendetta attraverso la propria Nazione. Sostiene Tilgher. Di che epoca parliamo? In questo quadro è cresciuto un tipo d’uomo, dice Tilgher, con “le caratteristiche dell’attivismo, della riluttanza al dibattito, la sfiducia nei corpi intermedi (giornali, magistratura, sindacati), l’ostilità al parlamentarismo, alle mediazioni…”. Un tipo d’uomo dai modi spicci e villani, di chi è abituato a comandare o ad essere comandato. Aggiunge Tilgher. Era il 1938! Il 1938? Ancora Tilgher, in quegli anni: “C’è nell’uomo un bisogno di odiare che reclama soddisfazione. Ciò spiega il successo delle dottrine e dei partiti che edificano sull’odio”. In quegli anni? E può succedere che l’oppositore dei principi sommi (anche la democrazia), l’antiliberale, riesca a convincere il popolo a farsi una maggioranza! Mussolini? Orban? Salvini? No, non è fascismo. Tecnicamente, ideologicamente.

Ha ragione Montanelli, ha ragione Gramsci, il fascismo non è teoria, non è ideologia, non si può ripetere tale e quale, con regole già scritte. Non è l’alternativa alla democrazia, diceva ancora Montanelli. Il quale ha aggiunto: “È la sorte di tutti i fascismi. Essi non sono l’alternativa alla democrazia. Ne sono solo i becchini. Ed entrano in funzione quando la democrazia ve li chiama suicidandosi”. Io sono contrario al suicidio.



×

Iscriviti alla newsletter