Il ministro della Giustizia ha annunciato un emendamento al ddl Anticorruzione presentato alle Camere secondo il quale il corso della prescrizione dovrebbe rimanere sospeso dopo la pronunzia della sentenza di primo grado. Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana del nostro processo penale: verrebbe così rimossa – finalmente – una anomalia tutta italiana, quella secondo cui la prescrizione continua a correre in primo, secondo e terzo grado di giudizio: con il risultato che in Italia si prescrivono (cioè si celebrano inutilmente) circa l’80% dei processi, con dannosi spargimenti di energie, di denaro e di tempo.
È da dire che nessuno Stato occidentale attua un sistema della prescrizione come il nostro, perché in Europa ci si rende ben conto degli effetti deformanti che questa disciplina produce sull’intero sistema penale, sia sostanziale che processuale, determinando, ad esempio, un’innaturale moltiplicazione delle impugnazioni, o il proliferare di tattiche dilatorie tese a amplificare i tempi processuali per pervenire, comunque, alla estinzione del reato per il decorso del tempo.
Esaminiamo brevemente le soluzioni accolte dai principali ordinamenti europei: in tutti i sistemi giuridici democratici si stabilisce che il compimento di determinati atti processuali fa decorrere ex novo il termine di prescrizione, senza limiti oppure entro un limite complessivo molto ampio.
Ad esempio, il codice penale spagnolo stabilisce che l’effetto estintivo non può maturare nel periodo impiegato dall’ordinamento per il giudizio: finché c’è il processo, non può esservi la prescrizione. Nell’ordinamento francese, l’action publique si estingue qualora questa non venga esercitata entro un determinato tempo dalla consumazione del reato (10 anni per i crimini), si interrompe con il compimento di qualsiasi atto di istruzione o di indagine e riprende a decorrere per un uguale periodo; le interruzioni, inoltre, possono essere illimitate. Nella civilissima Germania, la prescrizione ha termini assai lunghi: 30 anni per i reati puniti con l’ergastolo, 20 per quelli con pena massima superiore a 10 anni, 10 per quelli con pena tra i 5 e i 10 anni, 5 per quelli tra 1 e 5 anni, 3 gli altri. Genocidio e assassinio non si prescrivono mai; ma, e qui è la forza di quel sistema, la prescrizione è interrotta dagli atti compiuti da giudice, pm e polizia, come l’interrogatorio dell’accusato. Dopo l’interruzione, il termine di prescrizione riprende a decorrere, ma non può superare il doppio della sua durata originaria. In Gran Bretagna, poi, la prescrizione semplicemente non esiste.
Incomprensibili, quindi, le critiche mosse a tale proposta di riforma, posto che il nostro sistema appare del tutto eccentrico rispetto al modello di prescrizione delineato dagli standard internazionali di protezione dei diritti umani, come più volte ricordato anche dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che ha evidenziato come la prescrizione in Italia rientri nella categoria delle “misure inammissibili” in quanto produttive dell’effetto di impedire una condanna nonostante l’accertamento della responsabilità penale dell’accusato (sentenze CEDU, 29/3/2011, Alikaj C/Italia; 1/7/2014, Saba c/Italia).
Noi, no, noi. No. Spendiamo un sacco di soldi, tra indagini, stipendi di magistrati e poliziotti e compensi degli avvocati (essi pure, in caso di impossidenza del reo, a carico dell’Erario) per individuare e processare un imputato. Ma tutto quel denaro, grazie alla prescrizione che oggi può scattare a processo in corso, viene poi perso senza riuscire alla fine a stabilire se chi è finito alla sbarra è colpevole o innocente. Il sistema dalla prescrizione domina ed inquina l’intero processo, ingolosendo i procrastinatori di professione, e costituisce la principale causa dell’attuale situazione di collasso della nostra giustizia penale.