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Gig economy, persone oltre le biciclette

Di Francesco Pipicella

I lavoratori della gig economy – che i nostri genitori conoscono come “fattorini” – sono assurti a simbolo di una nuova lotta contro lo sfruttamento delle classi economiche più deboli.

I presunti difensori dei loro diritti si sono scagliati contro quella che ritengono essere un’attività de-umanizzante, e da questo hanno attinto il lessico per la loro battaglia: si parla di “tirannia dell’algoritmo”, “caporalato digitale” e “schiavi del non lavoro”.

Chi provasse a difendere l’interesse di ristoranti, clienti e rider stessi si sentirebbe infatti replicare con sdegno che dietro alla propria cena a domicilio vi è una persona in carne ed ossa, che soffre per l’incertezza della sua professione e per le condizioni in cui la esercita.

Ma questo non è vero. E per dimostrarlo, Francesco del Prato e Carlo Stagnaro hanno raccolto e ordinato i dati di un sondaggio condotto tra i collaboratori della piattaforma Deliveroo tra il 30 agosto e il 6 settembre 2018, che ha coinvolto oltre 1000 fattorini. Così facendo, hanno potuto chiedersi: chi sono i fattorini di Deliveroo.

Per la stragrande maggioranza si tratta di uomini (91%) di giovane età, con il 62% fra i venti e i trent’anni. Per sfatare inoltre il mito della sovra-rappresentazione di cittadini stranieri dediti alla professione, è bene sottolineare come questi non raggiungano un terzo del totale.

Il dato anagrafico funge da immediato specchio di quello professionale: 4 rider su 5 sono studenti, lavoratori autonomi o dipendenti, a fronte di una modesta percentuale di disoccupati, per i quali soltanto la consegna a domicilio risulta l’unica fonte di reddito. A ulteriore prova del carattere accessorio della prestazione intervengono i dati sul numero di ore (in media limitate a 11 la settimana) e sulle motivazioni alla base della loro scelta, per la maggioranza dei quali è avere una fonte di reddito integrativa della principale.

Fonte di reddito che si attesta sui 12 euro l’ora, avvicinandosi al doppio del minimo contrattuale del settore più vicino, ovvero la logistica (7 euro), entro il quale si vuole ricondurre la figura del rider.

Ma poiché gli economisti sono sempre accusati di guardare ai numeri piuttosto che ai sentimenti delle persone, è bene passare al dato più significativo dell’indagine: la soddisfazione dei fattorini rispetto al proprio lavoro.

Il 65% per cento si dichiara soddisfatta, a fronte di un 9% insoddisfatto. Non solo: tra i motivi di insoddisfazione, a spiccare non sono certo i cavalli di battaglia dei detrattori della professione – condizioni fisiche, percezione di sfruttamento, alienazione – quanto piuttosto la mancanza di lavoro. Un problema questo che la volontà di imporre limiti, regolamentazioni e burocratizzazioni non solo non risolverà, ma contribuirà ad esacerbare.

Tra i fattori alla base della diffusa soddisfazione, invece, a prevalere sono la flessibilità degli orari, la possibilità di scegliere quante ore lavorare e la possibilità di integrare il lavoro con altre attività: caratteristiche queste che sembrano sufficienti a mettere in luce l’infondatezza del loro possibile inquadramento nella fattispecie del lavoro subordinato.

L’importanza della flessibilità, così apprezzata dai rider, è richiamata da Matteo Sarzana, General Manager di Deliveroo Italia, come valore fondante dell’economia del terzo millennio: “Nei nuovi lavori della on-demand economy- sottolinea – sono coloro che offrono i servizi – come i rider – a decidere già in autonomia se, quando, come e dove operare, lavorando talvolta per più piattaforme dello stesso comparto o svolgendo attività anche molto diverse tra di loro… La richiesta di flessibilità nel mondo del lavoro è sempre più diffusa, come dimostra anche un recente studio YouGov: i lavoratori italiani vorrebbe scegliere il proprio orario di lavoro e vorrebbero lavorare attraverso lo smart working”.

Coerentemente, più del 60% per cento non sono disposti a rinunciare alla facoltà di decidere se e quando rendersi disponibili, all’organizzazione in autonomia del lavoro svolto e all’ammontare della remunerazione in cambio di maggiori tutele. “I lavoratori della on demand economy sono l’esempio di un cambiamento epocale in atto nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore – prosegue Sarzana – e il risultato del Focus dell’Istituto Bruno Leoni lo conferma. E’ una trasformazione alla quale dobbiamo guardare con ottimismo e impegno”, garantendo ai rider adeguate protezioni che, spesso, è il mercato stesso a fornire.

Andando a guardare chi c’è dietro la nostra cena a domicilio, scopriamo dunque una situazione ben lontana dalle immagini dickensiane che vengono dipinte dagli antagonisti delle consegne a domicilio, i quali invocano maggiori regole e maggiori restrizioni. I lavoratori della gig economy, da parte loro, chiedono due cose: più lavoro e più libertà.

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