Le reazioni all’assoluzione di Virginia Raggi forniscono l’ennesima conferma della nostra cronica incapacità di rispettare il dettato costituzionale, quando politica e giustizia vanno in cortocircuito. Fosse stata condannata, nessuno avrebbe avuto la forza – immagino ben pochi anche nel suo stesso partito – di ricordare che Virginia Raggi sarebbe rimasta innocente, in attesa di altri due gradi di giudizio. Arrivata l’assoluzione, fino a ieri giudicata, anche in ambienti vicini al sindaco, tutt’altro che certa, ciò che si registra è una scontatissima e stucchevole polemica politica. Tutti recitano a soggetto, qualcuno dimenticando anche, come Luigi Di Maio, prese di distanza vecchie non più di 24 ore.
È tutto come sempre, già visto e sentito, pessimo auspicio per una maggioranza di governo che solo due giorni fa ha pomposamente annunciato la riforma (ennesima) della giustizia in Italia.
Due ulteriori elementi, poi, balzano agli occhi: il primo è che proprio il mitologico codice etico del Movimento 5 Stelle fornisce la più formidabile arma a chi voglia dimenticarsi della presunzione di innocenza. Che si straccino le vesti, per gli attacchi politici di questi giorni, coloro che hanno ideato e mai applicato quello stesso codice è almeno singolare.
Secondo: l’assoluzione del sindaco non può o meglio non dovrebbe diventare un comodo tappeto, sotto cui provare a nascondere maldestramente due anni e mezzo di amministrazione largamente deficitaria.
Roma è in uno stato comatoso, l’assoluzione del sindaco non è la soluzione di alcunché. Prima Virginia Raggi ne prenderà atto, meglio sarà per tutti noi, perché i suoi destini personali devono essere finalmente scissi dai destini della città. Se otterremo questo risultato, sarò il primo a festeggiare l’assoluzione, come semplice presupposto della possibilità di lavorare, con serenità e una strategia di lungo respiro. Bisogna lavorare e bene, però, senza cercare nemici e complotti, per giustificare indiscutibili insuccessi. In caso contrario, avremo solo rubato tempo a Roma.