Solo un leader, con il prestigio di Napolitano, può favorire il rinnovamento del centrosinistra e del PD, dopo le disastrose vicende, seguite al mancato successo elettorale. Come, nel 1976, dopo la catastrofe del PSI di De Martino alle elezioni, Giacomo Mancini fu l’artefice dell’operazione politica, che portò Bettino Craxi alla segreteria e al ricambio generazionale del gruppo dirigente.
Renzi come Craxi, 37 anni dopo ? Per il Sindaco di Firenze, torna di moda lo slogan, che caratterizzò i primi mesi della svolta craxiana, impressa al vecchio e sonnolento partito del placido De Martino : “primum vivere !”.
Matteo dovrà fare i conti con un gruppo dirigente ondivago, non di eccelse qualità, spaventato dall’irruzione sulla scena dei grillini, incapaci di cogliere la differenza tra le piazze, reali e telematiche, e il popolo, che si esprime nelle “gabine” elettorali, di bossiana memoria.
Renzi è di sinistra o è un Berlusconi giovane? Non hanno molto senso queste categorie. Renzi emerse nel PPI di Castagnetti e poi nella Margherita di Rutelli, quindi neppure lui è nuovissimo. Ma ha scelto di interpretare la politica, contestandone, radicalmente, le obsolete liturgie, i difetti, le polverose ideologie. Brandendo lo slogan della rottamazione, il primo cittadino di Firenze ha lasciato sul campo morti e feriti, da D’Alema a Veltroni, da Marini a Prodi, diventando molto popolare nell’opinione pubblica, bucando gli schermi tv ma non…. Amato dalle burocrazie del PD.
Egli intende ripercorrere la sfida, lanciata da Tony Blair in Gran Bretagna, che annunciò : ” Io non sono entrato in politica per cambiare il Labour Party. Io sono entrato in politica per rinnovare il Paese !”. Il partito come strumento della democrazia al servizio dell’Italia, come veicolo per consentire al leader di affermare le proprie idee, conquistando la guida del governo.
La competizione, nel PD, è il passaggio cruciale per Renzi. La sfida con la sinistra del partito, con Barca e con Fassina, non sarà facile. Ma, a differenza del ministro e del responsabile economico della segreteria di Bersani, il Sindaco propugna un partito più leggero, non pletorico e costoso, che insegua i voti di opinione, non di appartenenza o clientelare, capace di andare oltre gli steccati, imposti da anacronistiche zavorre ideologiche.
Il vecchio Presidente e il giovane e ambizioso leader alleati per allontanare le elezioni anticipate, formare un governo efficiente ed emarginare Beppe Grillo. Napolitano, catapultato sul Colle a furor di popolo, all’indomani della frantumazione del PD di Bersani e Bindi, di nuovo protagonista, e non notaio, dei nuovi assetti della sinistra, che non potranno non aver ripercussioni anche sul centro-destra.
Qualcuno, non a torto, ha parlato di “presidenzialismo di fatto”, nonostante la contrarietà di Napolitano alla Repubblica presidenziale.
E proprio Renzi, assertore della rivoluzione generazionale del PD, avrà, in questa fase della lunghissima transizione italiana, come primo interlocutore, un dirigente del vecchio PCI, capace di non farsi travolgere dalle tempeste storiche del comunismo italiano, guidato prima da Togliatti e poi da Berlinguer, e internazionale.
Una partita difficile, aperta dall’ elevato appello di Napolitano a riscattare l’immagine delle istituzioni, deturpate da errori, egoismi e scandali. E Renzi, l’innovatore, dovrà accettare i consigli dell’ esperto inquilino del Colle, convinto dell’esigenza della svolta rispetto al passato. Ma altresi’ consapevole che non vi possa essere partecipazione, realmente democratica, alla formazione delle decisioni pubbliche, senza il tramite dei partiti.
Pietro Mancini