Skip to main content

Vi spiego tutte le ripercussioni della sentenza della Corte di giustizia Ue sulla scuola paritaria

arpino, formazione

L’analisi giuridica della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P in materia di aiuti di Stato per le scuole paritarie offre un quadro totalmente diverso da quello che l’ideologia ha strumentalizzato per scopi puramente pretestuosi.

Oltre ogni lettura ideologica strumentale si conferma che è la contemporanea presenza di tre libertà – di insegnare, di istituire scuole e di scegliere i luoghi dell’istruzione – che conferisce carattere pluralistico al sistema scolastico delineato dalla Costituzione. Le prime due libertà apparirebbero svuotate di contenuto senza la terza, quella cioè della scelta della scuola pubblica – statale o paritaria – da frequentare.

Guardo in modo propositivo alla capacità del governo di cogliere nella sentenza Ue una reale opportunità per sanare la più grave ingiustizia che interessa i cittadini italiani ormai da troppi anni e che lede, in modo sempre più grave, il pluralismo educativo. Guai se per gesti irresponsabili e di comodo l’Italia non coglierà l’occasione di chiarire in Europa la ragione per la quale le scuole paritarie debbono chiedere una retta (che ribadiamo si assesta ben al di sotto del costo medio per studente definito dallo Stato stesso in sede Imu).

È evidente che, sul piano pratico, la portata della sentenza impegna in modo responsabile la Repubblica Italiana affinché inizi a difendersi seriamente e non a rimanere sostanzialmente inerte. Infatti, considerato che il regime Imu post 2012 è stato ritenuto conforme al diritto europeo, la valutazione delle possibili alternative di recupero rispetto all’utilizzo dei dati catastali e fiscali si tradurrà essenzialmente nella verifica se nelle vicende antecedenti al 2012 le scuole paritarie avessero o meno sostanzialmente rispettato i requisiti che la normativa avrebbe successivamente positivizzato.

E tale dato, che ovviamente nell’ambito di una procedura di carattere generale si presta ad essere fornito anche per aggregati, dovrebbe dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, non soltanto che gli eventuali sussidi sono ormai irrecuperabili, ma anche e in ogni caso che nulla dovrebbe essere recuperato sotto il profilo sostanziale.

Non fa del bene, sia culturalmente sia economicamente, alla nazione perpetuare queste ingiustizie. Sono 304 le scuole pubbliche paritarie chiuse nell’ultimo anno e 24.713 gli alunni in meno rispetto allo scorso anno. Da notare: si tratta di alunni che allo Stato non costavano quasi nulla (500 euro l’anno pro capite) e che ora, dovendo cercare verosimilmente una sistemazione in scuole statali limitrofe alle paritarie “defunte”, verranno a costare allo Stato circa 7mila euro annui pro capite. Un affarone per le finanze pubbliche! Sul piano nazionale parliamo di 12.662 Istituti, 879.158 allievi, 25mila insegnanti e se si somma anche il personale non docente si contano 80mila persone (dati Miur). È, questo delle scuole pubbliche paritarie, un comparto che garantisce il pluralismo educativo accanto alla scuola statale, che altrimenti si chiamerebbe scuola unica e dunque evidenzierebbe un regime di monopolio.

Giungono in soccorso alla ragione proprio la regolamentazione Imu e la saggezza del governo italiano nel gestire all’epoca la questione.

Ricordiamo che il regolamento 200/2012 stabilisce che le scuole pubbliche statali non sono tenute al pagamento dell’Imu; le scuole pubbliche paritarie, se non erogate a titolo gratuito o con un prezzo simbolico, devono versare l’Imu. Il Consiglio di Stato fa riferimento ai principi europei senza riuscire ad esplicitarli sino in fondo. All’art. 4 comma 3, a,b,c, si individuano le caratteristiche (conditio sine qua non) affinché le scuole paritarie non paghino l’Imu. Devono essere: scuole paritarie; non devono essere discriminatorie nell’accettazione degli alunni; hanno l’obbligo di accogliere gli alunni portatori di handicap; devono applicare la contrattazione collettiva al personale docente e non docente; devono garantire l’adeguatezza delle strutture agli standard previsti; devono dare pubblicità del loro bilancio. Da notare che sono i requisiti della legge 62/00 sulla parità. È chiaro il paradosso che allontana il Consiglio di Stato dai principi europei quando accenna l’ultimo requisito senza contestualizzarlo: “Le attività didattiche devono essere svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto conto dell’assenza di relazione con lo stesso”. Il richiamo – in premessa di questo Decreto a titolo giustificativo – alla necessità di adeguarsi ai “parametri di conformità a quelli previsti dal diritto dell’Unione Europea” non prende in considerazione un particolare molto importante: le scuole pubbliche paritarie, nei diversi Paesi europei godono, anche se in maniera diversificata da un Paese all’altro, di un finanziamento pubblico e, quindi, si trovano nella oggettiva fortunata situazione di non praticare alcuna retta, oppure di applicare una retta puramente simbolica ad integrazione del contributo statale. Difatti nonostante una struttura giuridica perfetta che anticipa lo spirito europeo, ad oggi l’Italia risulta – nella garanzia dell’esercizio del diritto – una grave eccezione in Europa.

Di conseguenza l’Italia (dove, si ribadisce, non è garantita la libertà di scelta educativa dei genitori sottoposti ad una grave discriminazione economica) si è trovata a dover gestire, nell’anomalo Sistema scolastico italiano, il parametro europeo, il “requisito” alla lett. c), comma 3, dell’art. 4 del Regolamento che stabilisce che lo svolgimento dell’attività deve essere effettuato “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso”. Affermazione che – e la cosa sorprende – appare in netto contrasto con le indicazioni della Risoluzione del Parlamento Europeo (1984), con la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (1996), con la Risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Parlamento europeo (2012). Occorre chiarezza: le indicazioni del Parlamento Europeo sono pure e teoriche idealità letterarie o indicano, invece, una base da cui partire per “essere Europa”? La disparità e anomalia del caso italiano dovrebbero sollevare più di un interrogativo.

Si afferma poi di attività che dovrebbero essere effettuate “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico”. Simbolico rispetto a cosa? In tal senso a norma dell’art. 1, comma 1, della legge 10 marzo 2000, n. 62, il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Quanto effettivamente costi il servizio alle scuole pubbliche – statali e paritarie – è una domanda sinistra… Di conseguenza il Decreto Imu per gli enti non commerciali schiera un parametro inedito, quello del costo medio per studente. Si legge sul sito del ministero “Se il corrispettivo medio (Cm) è inferiore o uguale al costo medio per studente (Cms) la scuola paritaria è esente dall’Imu.”

Ad esempio, se in una scuola dell’infanzia sono presenti 10 bambini per i quali viene corrisposto un importo annuo pari a € 1.000 e 5 bambini per i quali viene corrisposto un importo annuo agevolato di € 500, il corrispettivo medio sarà pari a: [(1.000 x 10) + (500 x 5)]/15 = € 833.
Per costo medio per studente (Cms) si intende, invece, l’importo indicato nella Tabella sopra riportata, distinto per settore scolastico. Se il corrispettivo medio (Cm) è inferiore o uguale al costo medio per studente (Cms), ciò significa che l’attività didattica è svolta con modalità non commerciali e, quindi, non è assoggettabile a imposizione.

Si auspica una gestione altrettanto illuminata e coraggiosa e si ripresenta la proposta ormai condivisa da svariate parti sociali: porre al centro lo studente, individuando un costo standard di sostenibilità da applicare a ogni allievo della scuola pubblica italiana, sia statale sia paritaria. In questo modo si realizzerebbe la libertà di scelta educativa in un pluralismo formativo, sostanzialmente a costo zero e con un miglioramento dell’offerta educativa. Il finanziamento, riconosciuto come “quota capitaria” spetta all’allievo e alla famiglia e, di conseguenza è assegnato alle scuole pubbliche – statali o paritarie – in quanto servizio scelto dalla famiglia stessa. Bisogna applicarlo in fretta, per evitare il tracollo della scuola italiana.

Un allievo che frequenta la scuola statale costa allo Stato (cioè ai cittadini) 10mila euro annui (si confronti l’ultimo studio degli economisti Civicum) mentre per un allievo che frequenta la scuola paritaria vengono destinati euro 480 annui rappresentando, cosi, le scuole paritarie una fonte di finanziamento (risparmio) per lo Stato di ben 6 miliardi di euro annui. Non solo non si intravedono gli aiuti di Stato (anzi, è evidente una chiara situazione di sussidiarietà al contrario), ma si conferma come la garanzia di diritti naturali, permettendo alle famiglie di poter scegliere dove educare il figlio (come avviene in tutti gli Stati europei tranne l’Italia) a costo zero, avendo già pagato le tasse, attuando il costo standard di sostenibilità, costituisce un innalzamento della qualità scolastica (siamo agli ultimi posti Ocse-Pisa) e rappresenta un chiaro risparmio per lo Stato italiano che sarebbe allora un Paese virtuoso che gestisce in modo efficiente le risorse e dunque le tasse dei propri cittadini. Le cifre parlano da sole!

×

Iscriviti alla newsletter