“Tra 10 anni il 40% dei posti di lavoro potrebbero essere messi a rischio dalle macchine”. Ad affermarlo è uno studio dell’Università di Oxford e uno del Mit. “Io non credo che sia vero, non dobbiamo avere paura della tecnologia”. Queste le parole di Philip Larrey, docente di filosofia presso la Pontificia Università Lateranense, nel corso della presentazione del suo libro “Dove inizia il Futuro”, edito da Mondadori, organizzata da Agol e da Core Values e Ucid presso la Fondazione Civita.
Il libro affronta un tema complesso, il rapporto tra l’uomo e la tecnologia, e lo fa attraverso le voci di autorevoli protagonisti del tempo moderno come Carlo D’Asaro Biondo, presidente delle relazioni di Google per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa, e Maurice Lévy, direttore di Publicis Groupe e Eric Schmidt, amministratore delegato di Alphabet. Presenti in sala, insieme all’autore Massimo Bruno, responsabile Sostenibilità e Affari Istituzionali Enel Italia, Umberto Guidoni, dirigente Responsabile Servizio Auto e Card Ania, Davide Squarzoni, senior partner Prometeia e ad Prometeia Advisor Sim, e Fabio Vaccarono, managing director Google Italia.
A margine della conferenza Formiche.net ha parlato con Philip Larrey delle criticità della quarta rivoluzione evidenziati dal suo libro.
Il suo libro parla del rapporto tra l’uomo e la tecnologia. Viene prima l’uomo o la tecnologia?
Ovviamente viene prima l’uomo. La tecnologia deve essere al servizio dell’uomo, è lui che la crea per risolvere i problemi della vita quotidiana, come lavoro, sanità e via discorrendo. Noi dobbiamo confrontarci oggi con qualcosa che potrebbe eventualmente superare l’intelligenza umana: l’intelligenza artificiale. Google, Amazon, Facebook, Microsoft e Ibm hanno programmi di intelligenza artificiale e stano formando le strutture per garantire che l’Intelligenza Artificiale sia sempre al servizio dell’uomo e non il contrario.
Nel corso della conferenza Massimo Bruno ha sottolineato che spesso, nel discorso sull’innovazione tecnologica, si dimentica chi potrebbe patire degli effetti negativi del progresso tecnologico, così avanzato e rapido che rischia di far diventare obsolescenti le competenze dei lavoratori nel giro di una sola generazione. Quali sono gli antidoti per difendere il lavoro dalla quarta rivoluzione industriale?
È un tema enorme. Pensi che il World Economic Forum a Davos ha dedicato un’intera sezione a questo argomento, quindi ci sono persone che lavorano a livello altissimo su questo tema. Io credo che l’essere umano sia abbastanza malleabile: se perde un lavoro può trovarne un altro e più è giovane più è facile, il problema sarà soprattutto nella fascia più anziana. Credo che sia necessario un intervento governativo al fine di controllare il fenomeno ed evitare la perdita massiccia di posti di lavoro.
Secondo lei, tra le varie politiche in campo, quali sono quelle che meglio tutelano il lavoro? Potrebbe essere utile fornire un reddito svincolandolo dal lavoro?
Credo che garantire un reddito a chi non lavora non funzionerebbe molto bene. L’anno scorso in Svizzera c’è stato un referendum proprio su questo: è stato chiesto ai cittadini cosa ne pensassero di offrire un reddito anche a chi non lavora ed il voto è stato negativo. Credo che i governi dovrebbero assistere il mondo delle forze produttive per assicurare un flusso equilibrato tra formazione e fuoriuscita dal mercato del lavoro. Si può pensare a dare incentivi ai settori nei quali è richiesta una maggiore manodopera.
Molto spesso il progresso tecnologico si è legato all’insorgenza di nuovi bisogni e nuovi diritti. Secondo lei il progresso frenetico che stiamo vivendo ora sarà foriero di maggiori opportunità o maggiori pericoli?
La tecnologia non andrà a detrimento dell’essere umano, ma dipende da come la si usa. Nel mio libro a più riprese ho scritto che la tecnologia non è né buona né cattiva dipende solo dall’utilizzo che se ne fa. La tecnologia, se ben applicata, può dare una mano al progresso dell’umanità, dei diritti umani e del bene comune. Un utilizzo sbagliato può portare alla distruzione del mondo.
Lei è un sacerdote e le chiedo: dov’è Dio nel rapporto tra l’uomo e la tecnologia?
Dio c’è, non c’è un solo campo della vita dell’uomo che sia avulso dal rapporto con Dio. Qualcuno ha detto che Google è una specie di dio perché sa tutto di tutti. Dio chiama l’uomo ad avvicinarsi a lui in questa vita e nell’altra. La tecnologia può aiutare tanto le società quanto gli individui, allo stesso modo può avere un impatto deleterio. Credo che il Signore, dei quali siamo creature, ci ha dato gli strumenti per creare il nostro mondo, il nostro impegno deve essere convergere nel creare a immagine e somiglianza del Signore.