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Margaret Thatcher, la Lady dei record

“Economics is the method: the object is change the soul!” (Margaret H. Thatcher)

L’eccezionalità di Margaret H. Thatcher sta nei record che ha saputo cogliere. Prima donna alla guida di un grande partito occidentale e poi primo ministro; primo leader britannico a vincere per tre volte di seguito le elezioni politiche; primo leader a dimettersi senza aver perso mai le elezioni; primo politico a fornire l’esempio di monetarism in practice. Soltanto due settimane dopo aver lasciato l’incarico le venne conferito l’Order of Merit. Nel 1992 ottenne il titolo di membro a vita della House of Lords, con il titolo di baronessa di Kesteven, contea storica del suo Lincolnshire. Nel 1995 fu tra le pochissime donne a diventare membro dell’Ordine della Giarrettiera. Ma soprattutto, insieme a Reagan e Stalin, è stata l’unica statista a far nascere un “ismo”. Il thatcherismo – misto di liberismo in campo economico, conservatorismo sui temi sociali e individualismo dal punto di vista filosofico – non ha semplicemente rispolverato gli ideali vittoriani “Dio, Patria e Famiglia”, giacché rivoluzionando ogni aspetto della vita umana, si è erto a sistema di pensiero. Il minimal State di Nozick, l’egoismo della Rand, l’individualismo (etico e metodologico) di Hayek e von Mises, il tradizionalismo di Scruton, il monetarismo di Friedman, l’offertismo di Laffer, il metodismo di Alfred Roberts (suo padre) sono stati opportunamente mescolati per mostrare al Regno Unito e al mondo che una Weltanschauung diversa fosse possibile; a distanza di qualche anno, abbiamo appreso che era anche credibile. D’altronde, il Washington consensus non è altro che la riproposizione delle ricette con cui la Iron Lady curò quello che nel 1979 veniva definito “il Grande Malato d’Europa”, e che nel 1978 aveva sperimentato l’“autunno dello scontento”.
La politica economica seguita nel secondo dopoguerra dai governi britannici, tanto laburisti quanto con-servatori, era imperniata sul pensiero keynesiano: deficit spending, non neutralità della moneta, centralità della politica dei redditi, instabilità degli equilibri di mercato. In breve: Big Government. La Thatcher ha fat-to cadere tutte queste prescrizioni nell’oblio, dimostrando quale potente effetto potesse avere una politica monetaria restrittiva su di un’economia aperta in regime di cambi flessibili e con un elevato grado di mobilità internazionale dei capitali, in accordo con le ipotesi del “modello di Mundell-Fleming”. Occorreva invertire la sequenza e ristabilire la regola che il risparmio è la virtù che crea reddito, mentre l’espansione monetaria e fiscale “drogata” anziché creare reddito genera inflazione. Il canale di trasmissione disinflazionistico principale furono gli alti saggi di interesse reali. Le liberalizzazioni e le privatizzazioni incrementarono il grado di concorrenzialità e di efficienza del sistema economico, e la City tornò a essere la prima piazza finanziaria mondiale. Mentre le riforme sul mercato del lavoro diminuirono il tasso di sindacalizzazione die lavoratori britannici, ridimensionarono fortemente il potere delle Unions e resero più ferree le norme sugli scioperi. Il Welfare State fu ridisegnato, abbandonando il modello beveridgiano divenuto ormai insostenibile per le finanze pubbliche, ma la macelleria sociale la videro solo i registi di infimo grado e gli analisti coi paraocchi. La politica industriale lasciò fallire le imprese inefficienti, togliendo loro una volta e per tutte i sussidi statali. Inoltre, Mrs. TINA (There is no alternative! soleva dire, comunicando la sua irrevocabile decisione) fece in modo che il Paese diventasse una “democrazia di proprietari”, permettendo agli inquilini di acquistare le abitazioni di proprietà dei comuni, a prezzi agevolati. Con il Rebate (I want my money back!) impedì che la restrizione dei confini dell’operatore pubblico sancita dai suoi governi fosse snaturata a livello europeo e sovranazionale. Tuttavia, l’“economia da Cappellaio Matto” degli euroburocrati la stava spingendo su sentimenti diversi rispetto a quelli dell’opinione pubblica britannica, sempre meno euroscettica. L’altra mossa che causò le sue dimissioni fu la poll tax (che lei preferiva chiamare Community charge), un’imposta di capitazione regressiva (una testa-una tassa). Eppure, non fu solo cocciutaggine quella di Maggie, giacché la teoria dell’economia pubblica ha dimostrato come l’unico tipo di imposizione che non distorce il libero funzionamento del Mercato sia proprio la poll tax. Va dunque inquadrata nel disegno thatcheriano complessivo di liberismo a tutto tondo, anche a costo di perdere la poltrona.
Margaret Thatcher tra il 1979 e il 1990 ridusse, in rapporto al PIL, il debito pubblico dal 52 al 32%, il defi-cit dal 5 al 2%, le spese dal 45 al 39%, dimezzò l’inflazione (dal 16 all’8%), mantenne costante il tasso di di-soccupazione (6%), il gettito complessivo (39%), le spese sociali (16%) e quelle in R&S (2%); ridisegnò il si-stema fiscale, portando l’aliquota base dell’imposta personale sul reddito dal 33 al 25% e quella marginale dall’85 al 40%, e spostando parte del carico fiscale dal lavoro ai consumi. Inoltre, aumentarono la produtti-vità totale dei fattori, il tasso di crescita e il saldo dei movimenti di capitale.
Si riprese le Isole Falklands invase dal regime dittatoriale argentino, risvegliando l’orgoglio patriottico a lungo sopito al grido di Britain Strong and Free, contribuì – assieme al grande amico Ronald Reagan e a Pa-pa Giovanni Paolo II – a far cadere il muro di Berlino (sebbene intravedesse i pericoli di una Germania riunificata che avrebbe soggiogato l’Europa), spinse un riottoso George Bush Sr. a rendere giustizia al Kuwait invaso dal raìs iracheno Saddam Hussein.
Dopo di lei, il Labour muterà nome, Blair la ringrazierà pubblicamente per “aver fatto il lavoro sporco”, i Tory, sempre meno thatcheriani, passeranno 14 anni all’opposizione. La sua maggiore eredità sta nell’aver mostrato che le politiche incentrate sull’individuo, sul Mercato, sulla Libertà e sul lungo periodo siano non soltanto attuabili, ma persino auspicabili. Da fiera avversaria della Rivoluzione francese ci ha spiegato – quasi giusnaturalisticamente – come la Libertà si fondi sul diritto a essere diseguali. Da lunedì 8 aprile 2013 appartiene, a buon diritto, alla Storia, in qualità di più grande statista del XX secolo.

Cosimo Magazzino
Università degli Studi Roma Tre

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