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Caro Enrico Letta, hai presente l’aerospazio?

Uno dei principali problemi del dibattito politico di questi ultimi anni, accentuato in particolare nell’ultima campagna elettorale, è l’assoluta mancanza di contenuti sia conoscitivi sia propositivi in campo economico-industriale. Pur nell’abbondanza di parole-chiave quali lavoro, occupazione, merito e così via, sono mancati, fino ad oggi, quegli opportuni ragionamenti di indirizzo e di “fertilizzazione” del tessuto economico territoriale, indispensabili per innescare i processi di sviluppo. Non solo.

La latitanza di questo dibattito rischia seriamente di trascurare il ruolo di settori altamente qualificati e trainanti del nostro comparto industriale, come, ad esempio, l’aerospazio. Per non dimenticare, partiamo da un’iniezione di memoria storica: l’Italia ha da sempre vantato una competenza e un ruolo sia nella ricerca sia nella produzione di tutto ciò che vola nell’aria, dai tempi gloriosi degli idrovolanti, agli albori della conquista dello spazio, la ricerca e lo studio italiani hanno saputo dare contributi più che significativi che hanno reso il nostro Paese un protagonista dell’evoluzione di questo comparto.

Ancora oggi ai più sfugge, forse, che l’industria aeronautica italiana è fra i leader mondiali con partecipazioni e con prodotti affermati sul mercato, con capacità tecnologiche esclusive. Si pensi ad esempio che parte della Stazione spaziale internazionale è stata realizzata nel nostro Paese. Tutto ciò non è casuale, ma è il risultato di precise scelte di politica industriale e di investimenti che l’Italia ha fatto nel corso di questi decenni, salvaguardando un comparto e facendolo crescere. La consapevolezza di questo processo sta dissolvendosi e oggi i livelli di conoscenza sul valore di questo settore sono estremamente bassi; un comparto questo – si ricordi bene – che senza una pianificazione strategica da parte del sistema di governo, non ha possibilità di continuare a svolgere il suo ruolo. Vantare un sistema aerospaziale avanzato come quello italiano significa trasferire a livello del sistema formativo secondario e universitario, e a livello del sistema imprenditoriale e produttivo, una spinta continua all’aggiornamento tecnologico, con un’evidente ricaduta che incide direttamente sul grado di competitività dell’intero sistema-Paese.

La consapevolezza di questa situazione è molto debole e lo si può evincere con sconcerto dal dibattito molto spesso strumentale e demagogico che ruota intorno ad alcuni punti sensibili e critici di questo settore. Mettiamo il dito nella piaga: il caccia F-35 è stato più volte usato in campagna elettorale come oggetto di polemica demagogica, con argomentazioni superficiali e banali che non danno la possibilità di comprendere realmente di cosa stiamo parlando. È corretto discutere di questo aereo in termini di costi e in termini di ritardi, come sta avvenendo in maniera molto approfondita negli Usa, ma non si può dimenticare il significato strategico della scelta rispetto al quadro complessivo degli equilibri tecnologici mondiali dell’aeronautica e alle ricadute che questo progetto ha nel nostro Paese.

Per non dimenticare l’aspetto strategico operativo: se si cancella l’F-35, con che cosa lo sostituiamo? Le risposte non possono che essere competenti, evitando di affermare che lo faremmo con l’Eurofighter, velivolo completamente diverso per caratteristiche e ruolo. Per non parlare della versione a decollo verticale che dovrebbe essere una delle colonne portanti per copertura delle nostre truppe e che tra l’altro ha a disposizione due navi portaereo mobili al momento praticamente vuote. Ancora più opportuno sarebbe parlare dell’industria nazionale nel settore dell’aerospazio (e del suo vasto indotto). Il comparto, al di là di singole punte di eccellenza, è entrato in una spirale negativa, indotta sia dagli scenari di mercato esterni sia dalle problematiche interne, da cui potrebbe uscire solo se supportato da una forte azione di sostegno e di indirizzo dell’intero sistema-Paese.

Questo segmento specifico di mercato non rappresenta solo un valore economico intrinseco, ma riveste un’importanza strategica determinante nella stessa politica estera di un Paese come l’Italia. La ripresa, anche in questo settore, è possibile. Richiede però un indirizzo preciso che solo un governo consapevole può dare e senza il quale neppure il migliore management può agire. La possibilità di ritornare con successo sui mercati internazionali passa attraverso scelte di campo o europee o transatlantiche, entrambe industrialmente e politicamente percorribili. Le seconde, che potrebbero godere di un certo interesse americano già manifestato in diverse sedi, appaiono sicuramente più stimolanti, essendo la politica europea del settore monopolizzata da un asse franco-tedesco che impedisce l’affermazione di entità protagoniste, quali sono state alcune grandi realtà italiane nell’ultimo decennio.

Ma è evidente che scelte di tale rilevanza strategica e diplomatica non possono essere lasciate alle singole aziende e ai singoli manager. Sono scelte infatti che posizionano uno Stato nello scacchiere internazionale. La stessa politica di difesa europea di cui si evoca ruolo e potenzialità più che condivisibili denuncia una carenza a monte che è di indirizzo politico di un’Europa ancora troppo burocratica e vincolata dai singoli egoismi nazionali, al punto che fino ad oggi la già citata evocazione della politica di difesa comune serve solo per giustificare proposte di ulteriori tagli ai budget della difesa stessa. Questo ragionamento ci porta in ogni caso a immaginare il nostro futuro in un contesto europeo, dipende con quale ruolo e con quale autonomia. Conoscenza e consapevolezza sono le due parole-chiave con cui iniziare un confronto con i nuovi sistemi politico-amministrativi che avremo, per orientarli verso ragionamenti e scelte che sfuggono dalle suggestioni di un confronto superficiale e demagogico in cui anche un termine come “decrescita” rischia di apparire accattivante.

Riportare il dibattito sulla concretezza e sui valori che ancora possediamo è un obbligo morale prima ancora che economico per dare una risposta di continuità e, se possibile, di sviluppo a un comparto industriale quale quello dell’aerospazio composto da decine di migliaia di giovani, ingegneri, manager e operai qualificati che rappresentano un vanto dell’Italia nel mondo.

Umberto Malusà
Consulente indipendente – Isc

(articolo tratto dall’ultimo numero della rivista Formiche)

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