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Siria e sistemi di difesa. Ecco come gli Stati Uniti giocano la partita con la Turchia

Erdogan

Qualcosa si muove nel rapporto tra Stati Uniti e Turchia. Il Dipartimento di Stato americano ha approvato la vendita del sistema di difesa missilistica Patriot, un piano che potrebbe incontrare le resistenze del Congresso (chiamato ad avallare la fornitura) e che comunque necessita della scelta turca in merito. La questione si lega evidentemente ai più ampi rapporti tra Washington e Ankara, piuttosto gelidi da qualche mese proprio sul fronte dei sistemi di difesa. Eppure, qualche spiraglio sembra aprirsi, complice anche una possibile intesa sulla Siria.

ANKARA TRA S-400 E F-35

La determinazione che Recep Tayyip Erdogan ha dimostrato nel voler acquistare il sistema russo S-400 ha da tempo indispettito gli americani, tanto da costringere Capitol Hill a chiedere al Pentagono un report per verificare se e come procedere con l’esclusione dei turchi dal programma F-35. “Non avrebbe impatti devastanti”, ha detto un paio di settimane fa il vice sottosegretario Affari internazionali della Us Air Force Heid Grant, anticipando i risultati della verifica. Nel frattempo, da Tokyo è arrivata la conferma del piano del governo giapponese sul programma, con la previsione di aumentare le richieste di F-35 fino a un totale di 147 velivoli (rispetto ai 42 previsti finora). Un impegno importante, che negli States hanno accolto anche con riferimento alla questione turca, ammettendo che i piani giapponesi consentirebbero di escludere la Turchia a cuor più leggero.

LE PAROLE DI ERDOGAN

Tutto questo potrebbe avere influito sull’ultima uscita di Erdogan durante un comizio a Instabul: “Compreremo 120 aerei F-35, prodotti negli Stati Uniti; parte dei componenti di questi velivoli sono prodotti in Turchia”. La dichiarazione (lanciata dall’emittente turca Ntv e ripresa con forza dal media russo Sputnik) lascia l’impressione che Ankara non voglia restare fuori da un programma su cui ha puntato per il futuro del proprio potere aereo, a fronte delle ambizioni egemoniche su tutta l’area mediorientale. Con ogni probabilità, fino a qualche tempo fa, il presidente non riteneva credibile la minaccia Usa di un’estromissione dal Joint Strike Fighter. Poi, le notizie da Tokyo e le anticipazione della Grant sul report del Pentagono hanno cambiato le cose. Tra l’altro, lo scorso giugno i primi due F-35 di Ankara sono stati consegnati presso lo stabilimento Lockheed Martin di Fort Worth, in Texas, ma non sono ancora arrivati in territorio turco. Da parte sua, il costruttore americano ha più volte fatto notare di non aver ricevuto comunicazioni su eventuali modifiche del programma.

COME SI INSERISCE IL PATRIOT

Pochi giorni si è aperto un altro capitolo, quello del sistema Patriot, considerato l’alternativa Usa all’S-400. L’ufficializzazione dell’accordo tra Turchia e Russia sul sistema di difesa aerea (che Mosca utilizza abilmente come arma diplomatica) era arrivata a dicembre 2017. Era solo la formalizzazione di una distanza ormai incolmabile tra Ankara e Washington, apertasi a luglio del 2016 con il tentativo di golpe in Turchia e con il repulisti che ne è seguito. Eppure, gli Usa non hanno mai mollato la presa, continuando a pressare lo storico alleato affinché rinunciasse allo scivolamento verso est. La nuova carta giocata da Washington è l’approvazione da parte del dipartimento di Stato della vendita della più moderna versione del sistema Patriot, la stessa che ha già registrato sei clienti internazionali (l’ultima, la Svezia, ha siglato il contratto ad agosto). Nello specifico, nota Military.com, il via libera riguarderebbe 80 missili MIM-104E, 60 munizioni Pac-3 Mse, più i relativi equipaggiamenti. La commessa potrebbe valere circa 3,5 miliardi di dollari, e segue la bocciatura turca alle proposte del 2013 e del 2017, entrambe rifiutate per la scarsa prospettiva (a detta dei turchi) di trasferimento di lavoro al comparto industriale di Ankara.

LE MOSSE DI MOSCA

Come andrà a finire questa volta non è dato sapere, ma intanto Mosca ha già attivato i propri canali. Mentre Sputnik rilancia la conferma di Erdogan sugli F-35 (come a voler tranquillizzare gli Usa, facendoli desistere dalla proposta sui Patriot), un portavoce del Cremlino (Dmitry Peskov, ripreso da Reuters) evidenzia che l’acquisto dell’S-400 e la potenziale fornitura del sistema americano devono essere intesi in maniera separata. Al contrario, tramite un portavoce del dipartimento di Stato, gli Stati Uniti sottolineano che il loro obiettivo è “offrire un’alternativa interoperabile con la Nato all’S-400; niente di più e niente di meno”. D’altra parte, il tasto della compatibilità con l’Alleanza Atlantica è quello maggiormente usato da Washington per convincere Ankara a non comprare l’S-400.

IL DOSSIER SIRIANO

Un ulteriore tassello del puzzle si è aggiunto ieri. Con un tweet, il presidente Donald Trump ha confermato le indiscrezioni di stampa secondo cui gli Usa si apprestano al ritiro dei duemila soldati dalla Siria. Alla base della volontà della Casa Bianca (tutt’altro che gradita dal Pentagono) c’è l’intenzione di dar seguito alle promesse elettorale sul tema. La cosa farebbe evidentemente piacere ad Ankara, che avrebbe campo libero sulle forze curde, a cui gli Usa hanno quasi sempre garantito una certa protezione. Che i turchi stiano preparando un’offensiva a est della città di Manbij, sul fiume Eufrate è cosa nota da tempo. Su questo si sono confrontati pochi giorni fa Trump ed Erdogan, sebbene Robert Palladino, vice portavoce del dipartimento di Stato, abbia già negato che dagli Usa sia arrivata luce verde per l’attacco. Intanto, il presidente turco ha incontrato l’omologo iraniano Hassan Rohani, mentre il capo della diplomazia Us Mike Pompeo ha telefonato al collega Mevlut Cavusoglu. Le prossime ore saranno decisive.



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