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Mezzogiorno, il governo elimini le anomalie del Formez. O lo sciolga

Di Silvano Moffa

Caro direttore,

permettimi di segnalare un caso di perdurante anomalia nel sistema pubblico italiano che merita particolare attenzione: il commissariamento straordinario di Formez PA. Una premessa sulla storia di questo Istituto. Il Formez nasce negli anni Sessanta – un’altra Italia, verrebbe da dire – come istituto di formazione nell’ambito dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno, uno strumento pensato da politici ed economisti dell’epoca per fertilizzare culturalmente il tessuto economico e sociale delle regioni del sud. Con la fine della Cassa per il Mezzogiorno, negli anni Novanta, il Formez cambia configurazione. Il ministro Bassanini, noto per le riforme in materia di semplificazione amministrativa, lo inserisce nel dipartimento della Funzione Pubblica quale strumento operativo per l’attuazione di programmi e interventi in ambito pubblico.

La storia del Formez prosegue negli anni senza che fosse minimamente intaccata la sua conformazione associativa di natura privatistica, pur operando, l’Istituto, nel settore delle pubbliche amministrazioni (Regioni, Comuni, Enti locali). Una ambiguità di fondo che neppure il Dlg. n. 165 del 2001 in materia di definizione dei soggetti aventi natura pienamente pubblica è riuscito a superare. In buona sostanza, il Formez ha continuato ad agire indisturbato sconfinando nel mercato privato, con il vantaggio di godere di provviste e benefici pubblici. La sua dotazione finanziaria proviene dal bilancio dello Stato e le sue commesse provengono esclusivamente dal settore pubblico.

Gestito con criteri manageriali da un presidente e da un consiglio di amministrazione, con l’avvento di Brunetta al ministero della Funzione pubblica il Formez diventa Formez PA, ossia allarga la sua sfera di azione, trasformandosi in vero e proprio braccio operativo del ministero anche in occasione di eventi sismici (da quello dell’Abruzzo al più recente di Amatrice), affermandosi come elemento di raccordo tra le pubbliche amministrazioni locali, regionali, nazionali e i cittadini colpiti dal terremoto. Aumentano di conseguenza le commesse pubbliche (sempre assegnate direttamente), cresce il numero dei dipendenti e si allarga il bacino dei precari. Tutti assunti con procedure di tipo concorsuale, una sottospecie molto discutibile dei concorsi pubblici, un “simulacro” di concorsi per titoli ed esami, per dirla in sindacalese. Passano i governi, ma il Formez è sempre lì, con le sue ambiguità giuridiche e la sua attività.

Finché arriva a Palazzo Chigi Matteo Renzi, il “rottamatore”. E il Formez finisce nell’imbuto di un decreto che ne sancisce lo scioglimento, con tanto di nomina del commissario liquidatore. Da allora sono trascorsi quattro anni. Tre commissari, con governi diversi. Veniamo ai dati. Il Formez, negli ultimi dieci anni, ha gestito risorse pubbliche per circa un miliardo di euro tra contributi per spese di funzionamento e risorse dirette assegnate da ministeri e regioni. Ha 300 dipendenti divisi tra le sedi di Roma (fece scalpore l’acquisto della sede di viale Marx a un prezzo superiore al valore dell’immobile fissato dalla Agenzia del demanio), Napoli e Cagliari.

Che cosa è accaduto in questi quattro anni? Assolutamente nulla. Il Formez continua a ricevere commesse pubbliche in via diretta sconfinando nel privato, assume personale con metodi a dir poco discutibili (salta all’occhio la presenza in organico di una parentopoli costituita da figli, nipoti, congiunti e affini di ex dirigenti e politici), inanella contenziosi a iosa con ex dipendenti, le cui vertenze spesso si concludono con concordati a fronte di esborsi onerosi che finiscono nelle pieghe del fondo di riserva del bilancio.

Ora, caro direttore, tutto questo non rappresenta certo un modello di trasparenza. Ma c’è qualcosa forse di più grave che richiama la stessa natura giuridica del Formez. Come può un istituto pubblico (che agisce con metodi privatistici) acquisire commesse dallo Stato e da Enti pubblici se è stato commissariato ed è in via di liquidazione? Come si concilia, stando alle norme statutarie, che la presidenza del Consiglio lo abbia nella sua disponibilità pur conoscendone e mantenendone la forma giuridica di una associazione di diritto privato?

Mistero. Si potrebbe obiettare che lasciare languire una struttura che, comunque, ha un costo per lo Stato è di per se stesso un fatto negativo e un danno per l’erario. Ma è ancor più incomprensibile accettare che il perdurare del commissariamento impedisca alle Regioni (che, va ricordato, sono enti associati del Formez) di esercitare il cosiddetto controllo analogo sulla struttura cui partecipano. Controllo, si badi, cui le Regioni non possono sottrarsi perché costituisce una loro prerogativa istituzionale, ma che viene inficiato dalla condizione monocratica in cui versa da quattro anni l’Istituto. Una vera anomalia.

Per venirne a capo non vediamo molte alternative. O il Formez viene sciolto e messo in liquidazione. Oppure, se si ritiene che l’Istituto possa ancora essere utile e adempiere alle sue funzioni con correttezza e trasparenza, si eliminino storture e ambiguità giuridiche, facendone una Agenzia a favore degli enti pubblici.

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