Il 2018 è stato l’anno in cui il populismo si è affermato non solo come categoria politica, ma anche come plausibile opzione di governo. In Italia il governo è retto da due forze che si dichiarano orgogliosamente populiste e sovraniste, laddove questi sono insulti da parte dell’opposizione che, dal canto suo, stenta a rimodellarsi nel nuovo scenario politico.
Ma come hanno risposto gli elettorati dei movimenti populisti ai primi 7 mesi di governo. Le ultime rilevazioni Ipsos sulle intenzioni elettorali degli italiani segnalano un rallentamento nei gradimenti dei due partiti di governo. Voti che, oggi, non confluirebbero nelle opposizioni ma nell’astensionismo.
Di questo e di molto altro abbiamo parlato con Antonio Preiti, direttore di Sociometrica, società di consulenza strategica in ambito sociale, politico e aziendale.
Dai dati dell’ultimo sondaggio Ipsos si evince che c’è stato un calo delle intenzioni di voto sia per la Lega sia per il M5S, più per la Lega che per il M5S. Come lo spiega?
Questo calo è relativo alla capacità dei partiti di rispondere all’esperienza di governo, cioè se riescono o meno a incrementare il proprio elettorato.
Sicuramente ci sono problemi all’interno del M5S relativi a ciò che l’elettorato si aspettava e che non è arrivato. D’altra parte un elettorato che è arrivato a cifre molto alte è normale che sia molto vario. Questo riguarda anche la Lega ma in misura minore. Diciamo che alla prova del governo qualunque partito deve difendere ogni elettorato, vale per qualunque partito che passi dall’opposizione al governo.
Secondo il report di Sociometrica “Da, due, uno? Analisi degli elettorati del M5S e della Lega: demografia, atteggiamenti, opinioni e comportamenti”, gli elettorati di Lega e M5S sono complementari. Gli ultimi dati confermano questa tesi?
Secondo la nostra ricerca i due elettorati sono complementari ed omogenei. Complementari demograficamente, sommando le caratteristiche territoriali, di età e di censo vediamo che è un puzzle che si incastra molto bene. Dal punto di vista delle idee politiche sono convergenti.
Cosa li fa convergere?
Li accomuna un sentimento anti-élite, contro le classi dirigenti e la convinzione di essere stati messi in difficoltà dal tentativo di modernizzazione del Paese come risposta alla globalizzazione.
Ci può spiegare meglio?
Certo. Negli ultimi decenni abbiamo avuto un movimento globale che è la globalizzazione dell’economia, fenomeno del quale hanno beneficiato molto i Paesi che sono stati capaci di cogliere questa opportunità come quelli asiatici. I Paesi del mondo occidentale hanno risposto puntando al miglioramento della qualità dei prodotti proposti. Un esempio su tutti è l’iPhone, che viene prodotto in Cina ma il 70% del fatturato resta negli Usa. Un altro esempio è il mondo della moda, le grandi case come Armani, Louis Vuitton, Dior hanno nella Cina il loro maggiore mercato. Dunque la risposta virtuosa alla globalizzazione è stata puntare sulle capacità creative e sulla qualità, mentre la Cina vince sul costo del lavoro.
Questo circolo virtuoso nel caso italiano ha funzionato?
Solo in parte. Una porzione della popolazione non ce l’ha fatta a rispondere in questo modo. Gli sconfitti della globalizzazione si sono ritrovati sotto le bandiere della Lega e del M5S, ognuno con il suo nemico, da una parte gli stranieri e dall’altra la “vecchia politica”.
Questo basta per trasformare M5S e Lega in “un corpo e un’anima”?
No, non basta. Devono andare d’accordo i gruppi dirigenti del M5S e Lega. Sembrava che andassero molto d’accordo, ora un po’ meno. Inevitabilmente se si scontrano le classi dirigenti si scontrano anche gli elettorati. Secondo me c’è un grande flusso che va dal M5S alla Lega, anche viceversa ma molto meno. Alla fine gli elettorati si scomporranno e si ricomporranno ma questo dipende da cosa faranno le due teste.
Sempre secondo le ultime rilevazioni Ipsos, sia Lega che M5S sono sottorappresentati nel segmento di persone più istruite. Secondo lei è il dato dell’istruzione quello dirimente oppure una maggiore istruzione è solo uno degli indicatori che identifica un elettorato con un censo più alto?
Fino a pochi anni fa c’era una corrispondenza tra istruzione e reddito, questa era una regola naturale, oggi è meno vero. Nella parte istruita dell’elettorato del M5S c’è una parte di frustrazione proprio perché questa regola non è rispettata. Qualche anno fa ho fatto una ricerca, confluita nel volume “La società del 4%” dove spiego che l’elemento che discrimina di più la popolazione italiana è l’istruzione e non il censo. In particolare a fare davvero la differenza è il valore che si attribuisce all’istruzione.
La posizione dell’istruzione sulla scala gerarchica dei miei valori.
Esatto. Se una tipologia di elettore inserisce nel suo “menù” quotidiano la fruizione di prodotti culturali come libri, cinema, giornali, musica e teatro, è distanziato in maniera enorme da una tipologia che fa a meno della cultura. Dove anche farne a meno non vuol dire disprezzarla ma semplicemente ignorarla.
Chi ha incluso nei suoi comportamenti la cultura, si distanzia in maniera enorme da chi la cultura ha deciso di non inserirla nel proprio menù quotidiano. Questo è vero in Italia e in tutta la cultura occidentale.
Si riferisce al voto americano?
Sì ma non solo. Alle ultime presidenziali americane Hillary Clinton ha vinto di gran lunga in tutti gli Stati della costa, tutti gli Stati dell’interno sono andati a Donald Trump. In Francia Marine Le Pen ha preso, se non sbaglio, a Parigi appena il 7%. Questo vuol dire che gli “istruiti” hanno votato negli Usa Hillary Clinton, in Francia Emmanuel Macron, in Italia il Pd ha vinto nel centro di Roma.
Tornando all’Italia le intenzioni di voto al sud per la Lega sono arrivate al 26%. La Lega è davvero diventato un partito nazionale?
La Lega è diventata un partito nazionale perché ha cambiato i suoi contenuti. L’identità politica si definisce non solo in base a ciò che io voglio ma anche in base a chi sono i miei nemici. La Lega ha fatto una torsione a 180 gradi, il nemico prima era il meridionale e Roma ladrona, oggi è l’immigrato. I meridionali non sentono più la Lega come un nemico, nord e sud sono uniti contro un comune nemico esterno.
Un altro dato interessante e che riguarda sempre la Lega è che è scesa, seppur di poco, tra artigiani e commercianti, un tempo colonna vertebrale dell’elettorato leghista. Possono arrivare da qui i rischi per il partito di Matteo Salvini?
Non credo. Nella Lega 1.0 c’era la lotta alle tasse, a Roma ladrona e alla burocrazia quindi l’artigiano e il commerciante che sente di non avere i privilegi della Pa che è concentrata a Roma era l’elettore leghista. Nel momento in cui viene introdotto il reddito di cittadinanza è normale che quello stesso elettore si chieda perché pagare per dei fannulloni. Questi sono i contraccolpi della Lega 2.0, quella dell’accordo di governo.
Passando alle opposizioni dai dati emergono aumenti nell’ordine di circa l’1% per Pd, Leu, Forza Italia e FdI. Secondo lei tra questi quale può essere il dato più interessante?
Il margine di crescita dell’1 o 1,5% entrano nell’errore statistico, ossia l’errore statistico può essere superiore all’incremento attribuito. Quindi stiamo parlando di riferimenti labili, sono scritti sulla sabbia. Detto questo è evidente l’avvio di un processo di ristrutturazione dell’opposizione. Il Pd dovrà fare il congresso ma siamo all’inizio, alla fine capiremo cosa sarà il Pd e cosa sarà del Pd che, mi sembra, sia la chiave di tutta l’opposizione. A meno che l’evoluzione del congresso non porti a nuove formazioni.
L’altro elemento importante è Forza Italia che è meno importate del Pd sia per questioni numeriche sia perché FI ha un piede nell’opposizione e uno nella maggioranza, attaccano il M5S ma non attaccano la Lega. Ma in buona sostanza possiamo dire che il Pd non ha ancora fatto un esame di fondo delle ragioni che l’hanno portato dal 40% al 19%.
Cosa servirebbe al Pd per ripartire?
Una nuova strategia che incorpori il populismo. Con il termine “incorporare” non intendo accettarlo ma tenerne conto. La storia va avanti. Oggi la storia ci propone il populismo incarnato da due forze che mantengono, sostanzialmente, il consenso elettorale anche con prove di governo non brillanti.
E questa è un’aggravante per le opposizioni. L’insieme del mondo antipopulista deve interrogarsi su quale sia la strategia più efficace per avere la meglio sul populismo. Se il Pd non fa autocritica il processo di cambiamento non ci sarà.
Che il Pd non l’abbia fatto si capisce anche dalle serpeggianti accuse di razzismo ai danni degli elettori delle forze di governo.
Questo politicamente non ha senso. Quando il Pd ha avuto il 40% nessuno era razzista? È assurdo. Io penso che se dovessimo arrivare alla conclusione che il 60% degli italiani sia fatto da razzisti forse dovremmo tutti cambiare paese. Ma non credo che sia così. Penso che ci sia una componente razzista come c’è sempre stata, oggi emerge perché trova un terreno più fertile però non direi mai che il 60% degli italiani è razzista. È probabile che ci sia una tendenza alimentata e sostenuta dalle forze che danno vita a questo governo. Prenda il caso di Macerata, la Lega aveva percentuali risibili, dopo l’assassinio di Pamela Mastropietro sono arrivati al 20%. Sono diventati tutti razzisti in una notte? No, gli elettori hanno pensato che la risposta di Salvini sia stata più adeguata e convincente della risposta di qualcun altro. Se il Pd mette la questione sul piano dell’identità dell’elettorato sbaglia. Il punto è spostare l’attenzione ai provvedimenti politici.
In ogni caso il partito più popoloso è quello degli indecisi, il 38,1% degli elettori non sa chi votare.
Io credo che il numero degli indecisi sia destinato a crescere. Di solito funziona in questo modo: se il governo non è soddisfacente l’elettorato si sposta sull’opposizione ma se anche quest’ultima non è accattivante si astiene e aspetta. Diciamo che gli astenuti vorrebbero una risposta al populismo che non è la proposta delle opposizioni. Teoricamente potrebbero avvantaggiarsene tutti.
Ci sarebbe spazio elettorale per un terzo soggetto?
Secondo me c’è spazio per un’opposizione al populismo diversa da quella che c’è oggi. Questo può farlo il Pd ma se non lo fa ci sarà qualcun altro che lo farà. Oggi il driver di tutto sono i contenuti e non l’appartenenza o la geometria politica. Oggi c’è un elettore infedele, non c’è una fedeltà ideologica perché non ci sono più le ideologie, quindi non si capisce a cosa si dovrebbe essere fedeli.