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Vi spiego cosa sta succedendo nei media vaticani. Parla Luigi Accattoli

vaticano

In molti, tra chi segue le cronache legate all’universo variegato della Chiesa cattolica, sono rimasti sorpresi quando, nel giro di un paio di settimane, i vertici della struttura comunicativa della Santa Sede hanno subito un forte riassestamento. Un cambio improvviso e inatteso, verificatosi prima con la nomina del giornalista vaticanista Andrea Tornielli a direttore editoriale dei media vaticani, e del professore e conduttore televisivo Andrea Monda alla guida dell’Osservatore romano, e in seguito con la secca rinuncia del direttore della Sala stampa Greg Burke e della vice-direttrice Paloma Garcia Ovejero. Formiche.net ha approfondito l’origine della vicenda, le sue dinamiche interne e le sfide che a questo punto si attendono per il futuro, con il saggista e decano dei vaticanisti italiani Luigi Accattoli, a lungo al Corriere della Sera.

Negli ultimi giorni del 2018, la sorpresa del cambiamento nella comunicazione vaticana. Dentro Tornielli, Monda, Gisotti, fuori Greg Burke e Paloma Ovejero. Sulle cause, si sono lette le interpretazioni più disparate.

Le interpretazioni sono diverse perché il fatto è complesso, e ci sono più cause venute a stringersi nella fine dell’anno. Una causa remota, che è sostanzialmente indipendente dalle singole persone, è il fatto che il Vaticano degli ultimi papi è alla ricerca di una comunicazione che difenda la figura papale dalla giungla mediatica digitale, soprattutto oggi che la sorprende, la scompagina, la provoca. Un bisogno che si sentiva già sotto Giovanni Paolo II, ancora più con Benedetto XVI, ma che non è mai stato risolto. Si è cercato di dare autorità ai portavoce, si sono avuti cioè portavoce protagonisti come Navarro-Valls o padre Lombardi. Ma da quando ha cessato il suo ruolo padre Lombardi, nel luglio 2016, è mancata la voce guida dell’informazione vaticana. L’altra causa invece, quella immediata, è legata alla riforma del settore avviata da papa Francesco, che non è completa e che prevede un arretramento delle singole agenzie comunicative, e tra esse anche la Sala Stampa, con un coordinamento attraverso il Dicastero della comunicazione. Questo arretramento non è stato gradito dai responsabili, che hanno detto: se è così, noi ce ne andiamo. Il Papa ha però considerato improprio che chiedessero un cambiamento, confermando la linea della riforma e accettando le loro dimissioni. Ecco, questo è l’incrocio di fatti che permette, autorizza e sollecita le varie interpretazioni.

Una figura preminente è quella del nuovo direttore editoriale Andrea Tornielli, che in una pubblicazione recente risponde con forza agli attacchi mediatici nei confronti del Pontefice. C’è chi ha parlato di una necessità di ricambio, nei media vaticani, proprio per difendersi dai ripetuti attacchi che hanno in qualche modo distorto la narrazione dell’ultimo pontificato. 

La figura di Tornielli è venuta crescendo, negli ultimi anni, proprio come difensore di papa Francesco. Si potrebbe dire che ha svolto un ruolo fuori dalle Mura, cioè senza incarichi vaticani, ma di reale e costante difesa, con Vatican Insider, sito da lui creato e collegato al quotidiano La Stampa, dove quasi ogni giorno produceva testi di precisazione, messa in ordine e bonifica dell’informazione vaticana da illazioni, polemiche e letture strumentali. Che sono tantissime, più del passato, e non solo per la figura estroversa di papa Francesco ma per il fatto che è cambiato il mondo dei media. Oggi, nei blog e nei siti on-line, si crea uno tsunami informativo continuato. Tornielli faceva questo lavoro di difesa della figura papale, è anche amico del Papa, lo conosceva prima di essere eletto Papa, hanno fatto più libri-interviste insieme. E oggi non è il portavoce, ma il direttore editoriale, cioè un coordinatore al di sopra del portavoce e dell’Osservatore Romano, Ctv e Radio Vaticana. E coordinerà queste voci a a difesa dell’informazione papale.

Durante il Sinodo dei vescovi sui giovani si è parlato della proposta di una certificazione dei siti cattolici. Forse una misura drastica, e quindi criticata. 

La richiesta di una “tabella conoscitiva” dei siti cattolici o dei siti digitali che si presentano come cattolici, e magari invece non lo sono, è stata formulata nel documento finale del Sinodo, ma non credo che ne verrà nulla. Però il nuovo corso dell’informazione vaticana avviato dal primo gennaio forse potrà produrre un qualche materiale conoscitivo su questa galassia. Non certamente un elenco dei siti “autorizzati”, o riconosciuti, questo non è pensabile. Ma un monitoraggio, e anche una segnalazione in forma di nota, di dossier conoscitivo, di un mondo che è molto complesso e molto difficile da decifrare. Che è nuovo, e quindi necessità di un avvicinamento specialistico. Penso che, dal punto di vista conoscitivo, qualche cosa possa venire.

C’è stata, negli ultimi tempi, una debolezza nella comunicazione della Santa Sede?

Sì, c’era, nella presentazione della figura papale e dell’attività della Santa Sede, degli ultimi due anni, dopo la cessazione del ruolo di padre Lombardi. Non per colpa del direttore e del vice-direttore ora dimissionari, ma per la congiuntura della riforma che li depotenziava e la loro indole personale e soggettiva, che non era quella di figure combattenti ma di persone e professionisti ben preparati ma disciplinati, e non tendenti al protagonismo. A loro era stato detto di sottostare alle nuove direttive del Dicastero della comunicazione. Durante il Sinodo dell’ottobre scorso non era il portavoce Burke a coordinare i briefing, ma il responsabile del dicastero Paolo Ruffini. Nonostante si facessero in Sala stampa. Questo non si era mai visto nella storia della Sala stampa vaticana, il che era una diminuzione per il direttore. Non c’era quindi una debolezza dei due, ma il nuovo statuto li poneva alle dipendenza del nuovo organo. Questa situazione non la sopportavano, per questo hanno protestato, e al seguito della protesta il Papa ha accettato le loro dimissioni.

Una sovrapposizione di ruoli, quindi, finita con qualcosa di simile, mi si passi il termine, a uno strappo?

Secondo me si deve leggere l’evento tenendo d’occhio i modi, lo stile e le modalità di decisione di papa Francesco. Lo strappo non era intenzionale. Quando Burke e Ovejero dicono che si sono dimessi con una decisione preparata da lungo tempo, e che non è una protesta, dicono il loro punto di vista. Che io non ho motivo di contestare. Ma oggettivamente è stato un conflitto. La situazione depotenziata della Sala stampa, dell’Osservatore romano, della Radio vaticana o di tutti gli undici organismi comunicativi, dopo essere unificati e sottoposti al Dicastero della comunicazione, non è andata bene a tutti. A differenza di prima dove erano tutti indipendenti, ma dove questo creava caos, naturalmente, e nella situazione di maggiore conflitto verso l’esterno, con l’informazione digitale, si creavano nuove esigenze. Così Osservatore romano e Sala stampa hanno avuto le loro due vicende traumatiche, il primo con la rimozione del direttore Gian Maria Vian. Il punto però è la figura papale: i due si sono appellati al Papa per avere ragione nel conflitto con il Dicastero della comunicazione, come a dire: santità, difenda l’autonomia della Sala stampa, altrimenti noi non possiamo fare il nostro lavoro. Il Papa non ha condiviso questa richiesta, e qui si è verificato un conflitto nei fatti, non intenzionale. Non volevano creare un problema, pensavano di convincere il Papa a rivedere la riforma. Ma il Papa non la vuole rivedere, la vuole portare a compimento.

Ecco, la riforma dei media vaticani, nel suo complesso, come procede e cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?

Dalla fuoriuscita di don Dario Viganò aveva rallentato, ma credo che ora questi ultimi fatti, le due nomine e le due dimissioni, creano le condizioni perché la riforma riprenda slancio. È incompleta e deve essere portata a regime. La direzione in cui il Papa vuole che si muova è di avere un responsabile unico, il capo dicastero Ruffini, e una voce giornalistica coordinante, Tornielli, che deve essere seguita da tutti. Quindi le decisioni organizzative e istituzionali le prende il capo Dicastero, mentre le decisioni giornalistiche le prende Tornielli. Gli altri sono organi specifici che devono tradurre e interpretare queste direttive politiche e giornalistiche. Questo credo che ora si dovrebbe fare ed è lecito pensare che si farà senza intoppi, perché non c’è più la resistenza di personaggi che erano piuttosto rilevanti, come il direttore dell’Osservatore romano o della Sala stampa. Ora ci sono delle persone disponibili a seguire le indicazioni dei responsabili del nuovo organismo.

La comunicazione vaticana ora torna molto più italiana, rispetto alle due scelte precedenti, lo possiamo dire? Assieme anche alla presenza sempre più marcata di laici. Su un tema come quello della comunicazione dove, peraltro, oggi si gioca molto per la Chiesa.

La crescita della presenza dei laici è una cosa buona e andrà avanti, il fatto invece che tutti quanti, al vertice, siano italiani è una cosa infelice e inadatta, e bisogna che si ponga rimedio. Ma questo non è difficile, perché c’è da nominare il portavoce vaticano, in quanto Gisotti è ad interim, e il vice-portavoce, che al momento non c’è. Quindi il Papa ha a disposizione due nomine per introdurre voci inglesi, spagnole, francesi o portoghesi, come vorrà, e sicuramente dovrà essere fatto. Perché la dimensione internazionale della Santa sede non può sopportare una voce solo italiana.

Quali sono le principali sfide che attendono la struttura comunicativa vaticana per il prossimo anno? Ce ne sono molte, tra viaggi, incontri, il Sinodo sull’Amazzonia, e anche nel circuito dei media, tra rilanci errati e attacchi strumentali. 

Ogni giorno è una sfida. Nella situazione attuale è imponderabile quello che potrà avvenire, perché per esempio nessuno poteva immaginare il caso del nunzio Viganò. L’anno scorso non avremmo mai potuto immaginare che nella giornata dell’incontro del Papa con le famiglie ci sarebbe stata la protesta di un ex nunzio in cui chiedeva le dimissioni del Papa. Chissà cosa ci sarà nell’anno che viene. Certamente il clima non va rasserenandosi, ma si va incattivendo. La disputa nei confronti del Papa, sia con attacchi esterni, del tipo che è comunista o terzomondista, sia interni, che è troppo riformatore, che cambia troppe cose o che non è sicuro sulla dottrina, va crescendo e non diminuendo. Quindi il Papa avrà bisogno che le sue agenzie comunicative lo aiutino.

Cosa ci si può immaginare?

Io immaginerei un semestre di prova. Se ci riusciranno, se le cose saranno tutte ben organizzate in mano al prefetto e al direttore editoriale, e se per sei mesi le cose andranno bene, senza grossi incidenti comunicativi, allora l’assetto attuale resterà, la riforma non la toccherà più nessuno e andrà a regime con i suoi tempi istituzionali necessari. Se invece nel giro di sei mesi, e di mezzo c’è tutto, dal vertice episcopale sugli abusi ai viaggi papali in zona islamica, fino alla complicazione nello scenario ecumenico nel mondo ortodosso o alla voce del Papa sui diritti umani che si fa sentire quasi ogni giorno, ecco, se su questo scenario molto mosso, un continuo maremoto informativo, avverranno difficoltà o anche seri incidenti comunicativi, allora io penso che il Papa prenderà una decisione drastica, cioè tornerà a cercare un portavoce protagonista come lo erano Lombardi o Navarro-Valls, e allora io immagino che sarà Tornielli. Ma solo se le cose andranno male. Se le cose vanno bene, Tornielli resterà direttore editoriale.


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