I cacciatori di pericoli nascosti e i seminatori d’ansia, genìa alquanto nutrita nel tempo dell’eurodepressione, dovrebbero perdere una mezz’ora del loro tempo e leggere il penultimo rapporto sulla stabilità finanziaria rilasciato dalla Banca d’Italia nel novembre scorso.
Vale la pena perché a pagina 19 c’è un grafo che racconta meglio di mille libri cosa sia successo nel mercato immobiliare europeo fra il 2000 e il 2012, e mostra con grande chiarezza il rapporto strettissimo che si è instaurato nell’eurozona fra la bolla del credito e quella del mattone. Tanto che ormai camminano a braccetto.
La bolla gemella che ha terremotato i bilanci sovrani, per di più, è tutt’altro che alla fine. Molti paesi sono ancora alle prese con quotazioni immobiliari cresciute enormemente nell’ultimo decennio, con tutto ciò che ne consegue sul versante sociale (inaccessibilità all’acquisto per ampie fette di popolazione e persino alla locazione) ed economico (credito bancario bloccato a causa della notevole esposizione al debito privato generato dai mutui concessi a suo tempo).
Per riferirsi al caso italiano, abbiamo già visto che le nostre banche soffrono di una pesante esposizione nei confronti dell’immobiliare: più o meno un terzo degli asset, infatti, sono investiti in mattone fisico o crediti sul mattone.
Ma il protagonista di questo post non è l’Italia, bensì la Francia.
I corsi immobiliari francesi, infatti, risultano i più alti dell’eurozona, e sono quelli scesi di meno rispetto al picco del 2007-8. Fatto 100 l’indice dei prezzi nel 2000, infatti, il mattone francese quota quasi 220. In pratica l’indice è più che raddoppiato.
Per dare un’idea delle dimensioni della bolla francese, basti considerare che lo stesso indice per Spagna, notoriamente accusata di aver gonfiato una bolla insostenibile, era arrivato a quotare 240 nel 2008. Solo 20 punti in più della Francia. Oggi la Spagna è crollata a 180, meno persino della Gran Bretagna, che dopo aver sfiorato i 240 nel 2008, ora veleggia intorno a 190. L’Italia, per tornare a noi ha superato quota 160 a fine 2008 e da lì si è mossa poco, negli ultimi anni. La curva è praticamente piatta dal 2009 in poi, anche se la Banca d’Italia registra con preoccupazione che i prezzi sono in calo.
Preoccupazione più che comprensibile. Se calano i prezzi del mattone, i primi a farci i conti sono i bilanci bancari, che rischiano di vedere erosi i propri coefficienti patrimoniali, i famosi Core Tier, con tutto quel che ne consegue, visto i noti obblighi di capitalizzazione.
Per concludere il confronto europeo, vale la pena osservare che in Germania l’indice dei prezzi del mattone è rimasto praticamente fermo a 100 fino al 2009, e che solo dal 2009 in poi ha iniziato una moderata crescita. Guardacaso contestualmente al ritiro dei capitali delle banche tedesche dal Piigs. Adesso quota circa 110.
Peggio (o meglio, dipende dai punti di vista) ha fatto solo il mattone irlandese, che dopo aver superato quota 200 nel 2008 e tornato a 100 nel 2012. In pratica l’Irlanda ha azzerato un decennio di crescita del mattone. E ciò spiega bene perché le banche irlandesi siano finite male.
Lo stesso copione potrebbe ripetersi per le banche francesi. Le banche francesi hanno visto crescere esponenzialmente i propri asset, triplicati dal 2000 in poi. Tale crescita è stata favorita in gran parte, come è accaduto in tutta l’eurozona (tranne che per la Germania) proprio dal boom del settore immobiliare. Quindi il calo di questi attivi – le prospettive per il mercato immobiliare francese sono peggiori di quelle italiane – avrà un effetto diretto sul sistema bancario transalpino.
Chi di mattone ferisce…