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Riflessioni d’estate

Lo andiamo sostenendo da tempo nella nostra condizione di “profeti disarmati” che gridano alla luna : è necessario indire l’assemblea costituente, tanto più nella situazione di democrazia sospesa vissuta dall’Italia con la formazione del governo tecnico, espressione del fallimento politico dei partiti della seconda repubblica.
 
Bocciata dal referendum del 25-26 giugno 2006, vittima del perdurante scontro ideologico pro o contro il Cavaliere, la pur insufficiente riforma della costituzione votata dal parlamento della XIV Legislatura, non può più reggere un sistema sbilanciato tra i dettami costituzionali del 1947 e una legge elettorale che esclude la partecipazione attiva degli elettori. Il tutto aggravato da uno squilibrio tra i poteri, determinato dal suicidio del Parlamento con la rinuncia all’immunità degli eletti e con una magistratura che, senza la separazione dei ruoli e delle carriere tra PM e giudici, ha assunto una posizione di assoluta prevalenza su esecutivo e legislativo, con la possibilità di mettere in crisi qualsivoglia equilibrio politico e ipotesi riformatrice che ne possa intaccare anche solo minimamente la condizione di assoluta autoreferenzialità.
 
Anche il presidente Napolitano, di cui da più parti si richiede un prolungamento di mandato, ha dimostrato interesse per una nuova Assemblea costituente in grado di ridisegnare l’assetto istituzionale dell’Italia adeguato alla nuova situazione interna, europea e internazionale.
Con il rovesciamento della piramide su cui si era retto sin qui il sistema democratico dell’Occidente, con la politica ridotta a subalternità rispetto alla finanza, alle banche e all’economia, diventa tragicomico pensare di tenere unito il Paese con l’assetto costruito dai padri costituenti oltre mezzo secolo fa con l’aggravante dello squilibrio dei tre poteri su indicato.
 
In piena crisi economica e finanziaria e con il rischio di uno sbocco della crisi sociale in un ribellismo foriero di tragiche avventure, con lo sfascio generale dei partiti espressione della seconda repubblica, si avverte la necessità e l’urgenza di ritornare a riscoprire alcuni fondamentali senza i quali il destino dell’Italia è segnato.
 
Sarebbe auspicabile che le forze più responsabili presenti nel parlamento, nell’incapacità sin qui dimostrata di giungere a soluzioni di riforma costituzionale condivise, concordassero sull’idea di passare dall’attuale governo tecnico a un governo di ampie intese che alle prossime elezioni abbinasse l’elezione di un’assemblea costituente, con voto proporzionale e sbarramento al 5%, per definire, tempo un anno, il nuovo assetto costituzionale dell’Italia.
 
Sei o al massimo sette macroregioni, eliminazione totale delle province e accorpamento dei comuni sotto la soglia dei 10.000 ab. sono le precondizioni per rendere concretamente attuabile quel federalismo fiscale, sin qui solo predicato, unico serio antidoto a tutte le contraddittorie e insufficienti politiche dei tagli lineari od obliqui di cui anche in questi giorni il governo tecnico sta dando triste spettacolo.
 
E, contemporaneamente, un profondo rinnovamento dei partiti e della politica con la formazione di schieramenti omogenei al quadro politico e parlamentare europeo.
E’ questo il compito che spetta alla nuova Democrazia Cristiana che uscirà dal prossimo congresso, il XIX della storia del glorioso partito dello scudocrociato.
Non vogliamo essere la stampella né del centro-destra, né del centro-sinistra. Abbiamo l’orgoglio e l’ambizione di poter offrire all’Italia una nuova speranza e la sicura garanzia di una governabilità fondata sul primato della persona, della famiglia e del bene comune, animati da un responsabile “interesse disinteressato” e dalla volontà di consegnare il testimone politico dei democratici cristiani alle nuove generazioni.
 
In queste settimane in cui incontriamo tanti amici nelle diverse regioni e province italiane, riscontriamo una grande volontà di riscatto e desiderio di autentica partecipazione politica. Quella partecipazione che è mancata in questi vent’anni nei partiti a conduzione cesaristica e personalistica, capaci solo di nominare una classe dirigente di cortigiani privi di qualsivoglia rappresentatività di reali interessi e valori della società civile, fondamentalmente impegnati a garantire se stessi nella fedeltà obbligatoria al padrino-padrone di turno.
 
Insieme alla nostra gente, ancora presente in tutte le contrade italiane, che ricordano con nostalgia e speranza il ruolo e l’azione dei democratici cristiani a livello locale, nazionale e in Europa, ai giovani e alle donne che chiedono più ampia rappresentanza e partecipazione, definiremo un programma per l’Italia e l’Europa all’altezza delle difficoltà e dei bisogni esistenti e organizzeremo un partito aperto, dei centri di cultura e partecipazione politica in ogni città e paese con a lato una fondazione in grado di raccogliere in via esclusiva i contributi che i privati intenderanno offrire per portare avanti le idee ricostruttive dell’Italia del XXI secolo ispirate ai valori dei “Liberi e Forti”, in continuità con una tradizione e una cultura politica di cui il Paese ha ancora assoluta necessità.
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