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Spadaro e Pompili, s’ha da fare il sinodo della Chiesa italiana

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I disegni della Provvidenza sono imperscrutabili, ma come diceva Agatha Christie, “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. Nel nostro caso siamo fermi a due indizi e aspettiamo il terzo per poter affermare con certezza che la Chiesa italiana si muove in direzione di un Sinodo nazionale.

Primo indizio: padre Antonio Spadaro, gesuita e direttore de La Civiltà Cattolica, rivista storica che interpreta il pensiero vaticano al punto da uscire con il “visto si stampi” della Segreteria di Stato vaticana, nel numero con data 2-16 febbraio, pubblica un “punto” politico dal titolo “I cristiani che fanno l’Italia”. Al termine della sua riflessione che parte da don Sturzo e dall’anniversario del suo appello “a tutti gli uomini liberi e forti” (1919), si pone una domanda: “Che dunque stia maturando il tempo per un sinodo della Chiesa italiana?”. Da sottolineare che il testo viene anticipato dal quotidiano cattolico Avvenire al mattino del 31 gennaio, qualche ora prima che sia reso disponibile per gli altri giornali. Un segno di attenzione da parte del quotidiano della Cei che non va sottovalutato.

Secondo indizio: il direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda, ha colto lo spunto offerto da padre Spadaro per intervistare un vescovo italiano e farne un’intervista che è apparsa sulla prima pagina del quotidiano della Santa Sede con il titolo “Uno stile sinodale per l’Italia”. L’intervistato è il vescovo di Rieti, Domenico Pompili che, lo ricordiamo, ha svolto un lungo servizio in Cei come sottosegretario e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali. Ma ci risulta essere anche uno dei presuli italiani più vicini a Papa Francesco. Una scelta, dunque, significativa. Pompili, in riferimento all’indizione di un sinodo per la Chiesa italiana, non ha dubbi: “Sento che potrebbe avere un effetto benefico”. Sottolineando il cammino della Chiesa italiana attraverso i convegni nazionali, il vescovo ricorda le parole del Papa al convegno di Firenze (2015) che fu nell’occasione “esplicito”: “Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme”. Dunque, un invito a “consolidare uno stile sempre più sinodale”, perché pastori e popolo possano “interpretare e non subire il cambiamento”. Puntuale, poi, il riferimento all’etica della vita e all’etica sociale che attraverso un percorso sinodale verrebbero riconciliate: “la difesa dell’embrione e quella del migrante sono, in realtà le due facce della stessa medaglia”. Secondo il principio enunciato dal Papa nella Laudato si’: “Tutto è connesso”.

Un’annotazione: per dare a Cesare quel che è di Cesare va detto che il primo a evocare la necessità di un sinodo nazionale è stato monsignor Nunzio Galantino, al tempo segretario generale della Cei. Alla vigilia del Convegno ecclesiale di Firenze, in un’intervista al Sir (l’agenzia di stampa dei vescovi italiani), il 5 novembre del 2015, Galantino disse: “Sarebbe bello che la Chiesa italiana affrontasse un’esperienza che da troppo tempo non fa: un sinodo nazionale. Questo non significa realizzare delle celebrazioni, ma imparare un metodo”.

Torniamo ai nostri giorni. Al momento manca il terzo indizio che formerebbe la prova, ma probabilmente si tratta solo di aspettare che il tempo porti a maturazione questa scelta. La decisione, è bene ricordarlo, spetta alla Conferenza episcopale italiana. Ma è ragionevole pensare che dopo il doppio colpo sferrato da Civiltà Cattolica e Osservatore Romano, la questione entri presto nell’agenda della Chiesa italiana.

Al momento, il laicato cattolico italiano tace. Eppure, non può sfuggire che la richiesta di indire un sinodo nasca proprio dalle domande poste da Spadaro: “Che posto ha il discepolato cristiano nella moderna società democratica? Come possono i cristiani contribuire a una sana democrazia e a un governo veramente popolare della nostra Italia?”.

Domande attualissime dinanzi alle torsioni alle quali è sottoposta la democrazia italiana a causa delle spinte sovraniste e populiste che prima hanno trovato terreno fertile nella narrazione pubblica e nel risentimento popolare e poi hanno determinato la rivoluzione elettorale del 4 marzo e la nascita del governo gialloverde. Il tutto in un contesto di fragilità economica, di profondo malessere sociale, di contrapposizione frontale tra popolo ed élite, di “paura” epidemica dei migranti. Di sicuro, in Italia è in corso un cambiamento sociale radicale. Un sommovimento che spesso si muove in direzione ostinata e contraria alla domanda di “amicizia sociale” invocata da Papa Francesco e che dovrebbe contrassegnare la presenza e l’impegno dei cattolici in Italia.



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