Caro Paolo, per prima cosa vogliamo chiederti scusa per essere arrivati a questo nostro appuntamento con duemila giorni di ritardo. Per chiederti di credere che non è stata distrazione Paolo, ti diciamo a nostra discolpa che quando sei stato rapito era profonda estate, e poi nella drammaticità degli sviluppi non abbiamo avuto la certezza di cosa fosse opportuno fare. Anche a noi, come a te, il principio di opportunità non ispira grande simpatia, ma l’opportunità a cui pensavamo era quella dell’ostaggio. Poi sei stato inghiottito nel buio siriano, in una ridda di voci spesso pretestuose, autoreferenti. Ora che in modo incerto ma plausibile si è tornati a parlare di te siamo qui, con la collera di chi sa di non essere stato all’altezza e la luce che viene dai tuoi avvertimenti. La cittadina intorno alla quale ancora in queste ore si afferma siano tenuti ostaggi internazionali accanto a una montagna di ostaggi locali, Baghouz, non esiste più. I civili spuntano nel deserto come funghi, se ne calcolavano 8/9mila, ora si dice siano almeno il triplo. Cosa sta accadendo in queste ore intorno a Baghouz, dove l’Isis non accetta rese? Quanti bambini, quante donne vagano cercando l’Eufrate? Figli di vecchi beduini, mogli di combattenti, vedove, orfani; siamo tornati ai tempi dell’Esodo?
Caro Paolo, noi non sappiamo capire cosa significherà Baghouz per l’umanità, sappiamo però che tu che potresti essere lì ci hai insegnato a capire il presente prima che per noi fosse immaginabile: tant’è vero che nel libro che hai scritto sul finire del 2012, “Collera e luce”, dici: “A te, giovane europeo, vorrei dire che la paura degli altri li modella sulla base delle nostre stesse paure: saremo noi a creare e imbatterci in ciò che temiamo… Soprattutto quando dei politici privi di coscienza utilizzano le nostre paure per motivi elettorali. L’islam non è apparso dieci anni fa e non sparirà tra cinquanta. Possiede una ricchezza paragonabile a quella del cristianesimo e dell’induismo. Privarsi di tali risorse equivale a interrompere il pensiero e la parola… Immaginare un’Europa chiusa significa distruggere l’Europa. Dei paesi ripiegati su sé stessi la smembrerebbero: un’Europa raggomitolata su di sé non reggerà”.
Paolo, davvero ti hanno sequestrato quasi sei anni fa? O sei anni fa eri già qui… Quando hai scritto queste parole governava Monti, poi sono venuti Letta, Renzi, Gentiloni, Conte. Ma non basta. Dopo averci spiegato che la Siria simboleggia la pace nel quartiere e che il quartiere non sarà in pace se non è inclusivo ci dicevi: “Capisco che per una ragione o per l’altra un giovane cristiano o musulmano, ad esempio, possa odiare una società in cui la tolleranza diventa sinonimo di eccesso, di ciò che egli considera incoerenza, inconsistenza perfino dissolutezza. Allora dillo, manifestalo, testimonia! Non è necessario impugnare un’arma per farlo. I più radicali dei due fronti possono diventare amici e insieme criticare una società su certi temi, mentre su altri si troveranno ad avere opinioni opposte. La democrazia ci permette di vivere senza versare sangue ad ogni angolo di strada. Un filosofo nonviolento siriano musulmano, Jawadat Said, mi confidò pressapoco queste parole: “La democrazia è come la ruota, una volta che è stata scoperta tutti vogliono usarla.” La democrazia è un meccanismo sociale, come tale non è cristiano, né musulmano, né americano, né russo. Si tratta di una magnifica invenzione della razionalità umana che permette di oltrepassare le guerre. L’impegno in suo favore libera dal nichilismo, poiché è interamente volto a un bene che è più grande di te. Allora tu appartieni già al paradiso”.
Dal 2013 ad oggi ho sempre visto, leggendo queste tue parole, una luce illuminista e religiosa capace di illuminarmi il senso profondo della parola “fratellanza”, che, poi, credo sia quella che unisce questa piazza. Ma oggi queste tue parole le scopro attuali perché esprimono bene anche la luce della democrazia liberale, partecipativa e rappresentativa che qualcuno non vede più bene. Grazie Paolo. È così importante dirtelo, davanti al tuo ostinato silenzio, che abbiamo deciso di venire qui per dirlo tutti insieme, non per chiedere notizie. Qui, a un fiato da noi, c’è quell’icona di Maria Salus Populi Romani, un popolo che comprendeva il tuo carissimo amico ucciso in Turchia, don Andrea Santoro. Tu in quel contesto di orrore se davvero fossi lì non la pregheresti mai solo per la tua salvezza, e sono certo che chi di noi crede ti rispetterà, pregandola per tutti.
Sono certo che i tuoi familiari ti ringraziano ancora per il tuo umanesimo contagioso, ma ti ringraziamo soprattutto noi perché ci hai fatto sentire che sei anche un nostro familiare. Quasi tutti noi, di questa piccola associazione, ricevemmo da te una mail, poco prima del tuo ingresso a Raqqa. Inconsuetamente concludevi quel breve messaggio chiedendoci di pregare per te. Non lo avevi mai fatto, sapendo che alcuni non avrebbero saputo come pregare. Forse non sapevi che in Argentina si chiede di “inviare buona onda” a chi non sa pregare. Ma ce lo hai chiesto quel giorno di sei anni fa e noi non solo non lo abbiamo fatto, ma non abbiamo neanche capito. Anche di questo vogliamo chiederti scusa. La collera di non aver capito ci ha aiutato a vedere l’importanza di questa luce che proviamo ad accendere oggi e così abbiamo chiesto a chiunque volesse di accenderla per te, per gli altri ostaggi che si troverebbero secondo notizie plausibili ma non confermate con te nel mezzo dell’ennesimo battaglia sanguinosa, e per le migliaia di siriani che da anni patiscono il tuo stesso destino, dimenticati, rimossi, come per le loro famiglie, provate come la tua. La tua storia Paolo, espulso da Assad e sequestrato dall’Isis, è la storia del popolo siriano, espulso con cieca violenza nei quattro angoli del pianeta da Assad e sequestrato dall’Isis, che con la sua bestialità ci ha chiuso gli occhi e i cuori davanti a questi nuovi Enea, con i nuovi Anchise sulle spalle. La tua teologia dell’elezione per via dell’esclusione, perché gli esclusi sono eletti, fa di loro i primi eletti di questo nostro oggi.
Sull’attualità di Baghouz e che potrebbe coinvolgerti vogliamo aggiungere una cosa, che se fossi stato qui avremmo detto certamente meglio, ma che a modo nostro affermiamo: non speriamo in salvacondotti ad personam per un eventuale tu lì. Noi siamo sicuri che solo la politica ci porterà davvero all’ultima battaglia. L’ultima battaglia senza politica non c’è stata con al-Zarqawi, il padre dell’Isis, e non ci sarà con al-Baghdadi. Può porsi termine alla storia di una malattia senza una una diagnosi e la conseguente terapia. Questa terapia per noi ha un nome, e due uomini l’hanno pronunciata pochi giorni fa non tanto distante da te: è “fratellanza”. Martin Luther King disse che abbiamo imparato a volare come uccelli, a nuotare come pesci, ma non sappiamo vivere insieme come fratelli e sorelle. Ora Francesco e l’imam al-Tayyeb hanno parlato di fratellanza, cioè di religioni che rifiutano la deriva delle religioni secolari, che divinizzano leader. Queste religioni secolari possono farsi dei santi, generali o attentatori, ma lo possono fare solo nel nome della malattia identitaria, mai dell’umanità. La sconfessione comune di queste religioni secolari ci sembra il miracolo di Abu Dhabi, reso possibile dal lavoro dal basso di tanti, il tuo, quello di don Andrea Santoro, quello del tuo amico Paolo Bizzeti, vicario d’Anatolia, quello del beato Pierre Clavery, vescovo di Orano, quello di tanti altri, musulmani illuminati come Mohammad Sammak o l’ayatollah al Sistani e come quello di tanti uomini di buona volontà. Questo movimento dal basso saprà certamente crescere, rinnovarsi, ma don Santoro non c’è più, come il beato Pierre Clavery. Ci consenti di dire da deboli quali siamo che se ci fossi tu ci farebbe piacere? In questi stessi momenti lo chiedono anche i tuoi amici di Beirut, di Milano, quelli riuniti al Centro Veritas di Trieste, quelli che stanno facendo una fiaccolata analoga all’Hospitale di San Tomaso, vicino ad Udine, quelli che la faranno venerdì a Verona. A presto Paolo, comunque ci rivedremo.