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Phisikk du role – Salvini, il giorno del giudizio online

global compact, Salvini

C’è un istituto giuridico, profondamente immerso nell’essenza della democrazia parlamentare, che in queste ultime ore sta vivendo momenti di gloria mediatica. È quello richiamato dall’art. 96 della Costituzione che sancisce la giurisdizione del giudice ordinario anche nei confronti del presidente del Consiglio o del ministro, ancorché cessati dalla carica, “per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni”, previa autorizzazione della Camera o del Senato.

Il Parlamento poi valuterà attraverso i suoi organi interni, seguendo una procedura analoga a quella evocata dall’art. 68 della Costituzione, che regola le modalità dell’autorizzazione a procedere nei confronti dei membri delle Camere legislative, affermando il concreto contenuto della loro immunità poiché essi “non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Solo se i membri della Giunta della Camera a cui il parlamentare appartiene dovessero ritenere che questi non abbia agito esprimendo “opinioni” e “voti” nell’esercizio delle funzioni proprie della carica, allora potrà essere concessa alla magistratura l’autorizzazione a procedere (obbligatoria in caso di condanna passata in giudicato o di flagranza di reato).

La dottrina ci spiega che la particolare immunità è collegata all’art. 67 della Costituzione che garantisce la libertà politica del parlamentare imponendo il “divietò di mandato imperativo”. Fin qui le norme, dettate dalla fonte più alta, che è la Costituzione e disciplinate minutamente dai regolamenti di Camera e Senato per garantire, com’è intuibile, la piena libertà d’espressione al parlamentare e all’uomo di governo. Il caso di cui si dibatte è, ovviamente, quello del ministro Salvini e della nave Diciotti. L’accusa sollevata dal procuratore di Agrigento è quella di sequestro di persona riferita ai migranti cui venne impedito dal Ministro lo sbarco sul suolo italiano.

Lasciamo stare il merito della questione e fermiamoci a quello che sta accadendo alla vigilia del voto di martedì prossimo nella Giunta del Senato. I sette membri pentastellati dell’organo di palazzo Madama dovranno, viene certificato dai loro vertici, attendere il risultato della consultazione online per sapere come dovranno votare. In concreto: il libero convincimento di sette membri della Giunta, che dovrebbe essere attinto dai documenti processuali e dalla valutazione intorno alla “politicità” della scelta compiuta dal ministro Salvini (e dal governo), il delicato congegno del giudizio dei “pari” creato proprio per consentire una valutazione più consapevole della responsabilità di chi esercita un ruolo di governo e di rappresentanza, vengono messi nelle mani di un veloce referendum sulla piattaforma Rousseau? Ma è chiaro o no che questo gesto ha un valore politico iconoclasta addirittura maggiore del referendum propositivo che almeno una qualche larva di cittadinanza avrebbe potuta rivendicarla risalendo ai dibattiti in assemblea costituente?

Il punto, allora,non è il merito – francamente sono persuaso che la maggioranza dei membri della Giunta del Senato non consentirà l’autorizzazione a Salvini, e sono pronto a fare scommesse – il punto è il modo: gli articoli 67, 68 e 96 della Costituzione richiamano pilastri della democrazia rappresentativa. E così quei pilastri, uno ad uno, si fanno cadere.


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