Un altro pezzo di made in Italy sta per passare di mano, acquistato da un fondo francese di private equity. Si tratta dell’azienda milanese Bomi Group che opera nella logistica e nella gestione di prodotti ad alta tecnologia per la tutela della salute, quotata dal 2015 a Piazza Affari, e sulla quale è scattata un’offerta pubblica di acquisto non ostile da ArchiMed un fondo con sede a Lione e specializzato nel settore sanitario.
L’opa per il Gruppo Bomi si traduce in un’offerta per azione di 4,00 euro (superiore del 30,67% al prezzo ufficiale di venerdì, pari a 3,06 euro, e superiore del 50,38% rispetto al prezzo medio ponderato del titolo negli ultimi 6 mesi, pari a 2,66 euro), oltre ad un’offerta sulle obbligazioni convertibili per un controvalore unitario di 4.000,00 euro. L’offerta è condizionata ad una serie di condizioni, tra cui il raggiungimento di adesioni pari al 90% del capitale sociale. Aspetto non secondario questo, perché si tradurrebbe in un delisting della società milanese dalla Borsa italiana che perderebbe in questo modo un’altra azienda tricolore dopo che hanno lasciato Piazza Affari nelle ultime settimane altre società come Luxottica (a seguito della fusione con la francese Ellisor e la relativa quotazione sul listino di Parigi) ma anche Damiani, storico marco della nostra gioielleria, che dopo 11 anni ha abbandonato Piazza Affari così come Beni Stabili che ha abbandonato il listino milanese il 2 gennaio in virtù della fusione con Covivio.
Bomi gestisce in 20 Paesi (il 69% dei ricavi è ottenuto al di fuori dell’Italia) le spedizioni e il magazzinaggio di farmaci e dispositivi medici, oltre a fornire servizi di “home care” (consegne a pazienti in cura per malattie croniche) e di packaging ed etichettatura farmaci, nonché gestione degli inventari di ospedali e cliniche. È un’azienda tipica del capitalismo familiare, fondata nel 1985 da Giorgio Ruini, che nel primo semestre 2018 – ultimi dati disponibili – ha visto crescere i suoi ricavi del 6% per un totale di 62,23 milioni di euro. Nonostante abbia cercato con la quotazione in Borsa di allargare il proprio raggio d’affari adesso viene di fatto “mangiata” da ArchiMed, fondo nato nel 2014 dal leader di 3i Healthcare come primo gruppo indipendente e paneuropeo focalizzato esclusivamente sul settore sanitario, con investimenti in svariati segmenti, tra cui tecnologia medica, biofarmaceutica e servizi di assistenza.
Nonostante le rassicurazione del fondo francese sulla governance – in caso di esito positivo dell’offerta è previsto che il management del Gruppo Bomi e l’amministratore delegato, Marco Ruini, rimangano in carica – è chiaro che si pone il problema di come un altro pezzo importante del made in Italy venga acquisito dai cugini francesi proprio nel bel mezzo di un conflitto tra i due governi, con le polemiche delle scorse settimane innescate dal vice premier Luigi Di Maio e la sua simpatia per i gilet gialli francesi.
Ma quella del gruppo Bomi non è che l’ultima di una serie di migrazioni di società italiane che finiscono Oltralpe. Basta considerare tutto il nostro polo del lusso con Loro Piana, Bulgari, Fendi, Pucci, Acqua di Parma venduti ai francesi di Lhvm e Gucci, Dodo, Pomellato, Bottega Veneta finiti alla holding francese di Pinault. E più recentemente a quello che è successo nelle comunicazioni con Vivendì in Telecom e nella tv con lo scontro per il controllo di Mediaset. Senza dimenticare la situazione potenzialmente esplosiva delle saline di Margherita di Savoia, in Puglia, le più grandi d’Europa che rischiano di finire nelle mani della francese Salinis Spa.
Tutto questo senza dimenticare i dossier ancora aperti come quello sulla Tav o le nozze Fincantieri e Stx per creare un campione franco-italiano nell’industria della costruzione navale che politicamente segnano una distanza tra i governi di Roma e Parigi. Quello del gruppo milanese Bomi non è, quindi, che l’ultimo capitolo di un capitalismo nostrano ancora debole e fagocitato da uno francese senza dubbio molto più solido e pronto a comprare a mani basse il nostro made in Italy.