Non ci sono molte parole da scrivere. Il risultato di queste primarie 2019 del Partito Democratico sono sorprendenti per tre ragioni:
1) perché nessuno, nemmeno chi milita nel partito, immaginava di ottenere una così ampia conferma di fiducia da parte di elettrici ed elettori: 1,8 milioni di votanti. praticamente lo stesso livello nel 2017 con Matteo Renzi candidato.
2) perché la vittoria di Nicola Zingaretti è così netta che nessuno può metterne in dubbio la legittimazione, cosa a cui mirava una parte di vecchio gruppo dirigente. Ossia, che nessuno superasse il 50%+1 dei voti per rimpastare in assemblea nazionale tutto.
3) perché l’Italia ha ora finalmente una vera possibilità di riscatto politico. Il PD può, e deve essere, il perno del rilancio di un’alternativa seria, valida e credibile al degrado sociale e politico che il governo Giallo-Verde sta producendo.
Di fatto, il PD non è morto. La Sinistra sta discretamente bene. La fiducia dimostrata dà un grande senso di gioia e di speranza, ma comporta anche una grandissima responsabilità. Nicola Zingaretti è un uomo pratico. Capace. Ha dimostrato di saper amministrare i territori, di poter vincere nelle campagne elettorali contro gli avversari attuali, Lega e M5S. Ha dimostrato di saper federare: non è divisivo e questo significa che c’è la possibilità di ricomporre il campo ampio della sinistra e delle forze progressiste.
Cosa significa però, in senso più generale questa vittoria? Che l’era Renzi, la parentesi che ha sconvolto il PD, il centro sinistra e un po’ il Paese, è definitivamente archiviata. Sì, perché il mantra del “solo io ho vinto con 2 milioni di votanti al 60-70%” – cosa che mi immaginavo sarebbe emersa se Zingaretti non avesse superato il 50% o si fosse fermato poco sopra, non potrà essere usata. Da nessuno.
Un’era è chiusa: breve, ma dannosa. Ora c’è da ripartire con umiltà e forza. Perché il lavoro duro comincia proprio ora. Zingaretti dovrà saper cambiare realmente il PD. Non basta il cambio di Segretario: ora servono riforme radicali alla struttura del Partito, un rinnovamento radicale della classe dirigente, iniziando con le europee e le candidature, che si spera siano in sintonia con le proposte dei territori e che diano spazio ad una diversa rappresentazione generazionale, sociale e culturale. Ma senza rinunciare all’identità del partito. Siamo il PD. Siamo la sinistra.