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Cosa vuole fare il Paese nel campo della difesa? La domanda di Giuseppe Bono alla politica

Con i cugini d’Oltralpe procede tutto come sempre, consapevoli che “insieme saremmo i primi al mondo”. Certo, i rapporti politici contano, soprattutto nel sostenere l’industria nazionale in gare internazionali contraddistinte da una competizione sempre più accesa. Anche in vista della Difesa europea, la domanda è una ed è diretta proprio alla politica: “Cosa vuole fare il Paese?”. A sollevarla è stato l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, intervenuto in audizione di fronte alla commissione Difesa al Senato, presieduta da Donatella Tesei, circa le prospettive dell’export italiano di materiali per la difesa e la sicurezza.

LA PARTITA FRANCESE

A suscitare il maggior numero di domande da parte dei senatori è stata (come prevedibile) la partita francese. L’operazione del gruppo italiano per l’acquisizione di Chantiers de l’Atlantique (ex Stx) è ancora in attesa della valutazione dell’antitrust di Bruxelles, con la Commissione europea che ha accettato le richieste francesi e tedesche a giudicarne l’impatto sulla concorrenza. I vertici di Fincantieri hanno già espresso tranquillità sul tema, anche in vista dell’estensione dell’intesa con Naval Group sul lato militare. Lo scorso luglio, le due aziende hanno gettato le basi per creare una joint venture, primo passo verso “l’Airbus dei mari”. L’ambizione resta, ha spiegato Bono, visto che “messi insieme alla Francia saremmo sicuramente i primi al mondo”.

SUPERARE L’ASSE FRANCO-TEDESCO

“Tedeschi e francesi – ha ricordato l’ad Fincantieri – hanno un’alleanza per la costruzione del nuovo aereo (il caccia di sesta generazione, ndr) e l’Italia non è stata invitata”. Anche “sul terrestre hanno una società insieme e Italia non è stata invitata; ecco perché puntiamo moltissimo sul navale, e devo dire che lo fa anche il governo”. È questo, ha aggiunto Bono, “l’unico settore nel quale siamo richiesti, poiché ci considerano e siamo bravi”. In altre parole, anche in vista della Difesa europea (con un Fondo da 13 miliardi di euro verso l’approvazione per il periodo 2021-2027) è sul settore navale che “si gioca la nostra battaglia”. In tale ambito, ha rimarcato il manager, “possiamo avere un ruolo importante” e ambire “a essere il pivot tra Francia e Germania”.

IL LATO POLITICO DELLA QUESTIONE

Certo, per farlo serve la volontà politica. Su quella industriale non sembrano esserci dubbi: “C’è una capacità collaudata di lavorare insieme”. Il problema, ha notato Bono, “è che siamo in eterna competizione in tutto il mondo, anche se siamo i migliori sia per qualità del prodotto sia per i prezzi”. Non sembrano avere effetto i recenti “bisticci politici”. Fincantieri, ha spiegato il suo ad, “ha trovato una linea di continuità nel governo rispetto al precedente; non mi risulta che abbiamo dichiarato guerra alla Francia e nessuno mi ha detto di fermarmi”. D’altra parte, “con la Brexit il peso della Francia aumenta in Europa”, e per questo “non è il caso di complicare la situazione” con un Paese per cui manteniamo “un rapporto di amore e odio”.

IL SUPPORTO ALL’EXPORT

In altri termini, la politica conta e come, soprattutto per un settore per cui la competizione internazionale appare sempre più accesa. Non a caso, il ministero della Difesa guidato da Elisabetta Trenta è a lavoro da tempo sul potenziamento del supporto istituzionale all’export del comparto, consapevole che i soli investimenti non bastano per poter mantenere la competitività di un comparto strategico per il sistema-Paese. Tra accordi governo-governo e una Cabina di regia a palazzo Chigi, le possibilità sono molteplici. D’altronde, ha notato Bono in commissione, “le gare si vincono col prezzo e con il prodotto, poi si vincono con la politica”. Solo per fare un esempio, ha aggiunto, “l’Egitto vuole le nostre navi, ma oggi leggo che fa un’esercitazione congiunta con la Francia”. Quindi “è un problema di politiche generali, cosa vuole fare il Paese?”, ha chiesto il manager ai senatori della commissione Difesa.

I NUMERI DI FINCANTIERI

Solo la scorsa settimana, il gruppo presieduto da Giampiero Massolo aveva presentato i dati relativi al bilancio del 2018, in cui spiccano i ricavi, cresciuti del 9% arrivando a 5,5 miliardi. Già questo, notava Bono, è “un primo passo nel percorso che mira a un aumento dei volumi di circa il 50% entro il 2022 e che richiederà un notevole sforzo organizzativo e una chiara visione delle sfide future”. Il risultato d’esercizio si è attestato su un valore positivo di 69 milioni, in miglioramento rispetto ai 53 milioni del 2017 così come la profittabilità (Ebitda a +21%). Sul lato della performance, le consegne sono state 35, mentre gli ordini acquisiti si sono attestati a 8,6 miliardi (+1%) grazie a commesse per 27 navi. Ciò ha fatto salire del 29% il carico di lavoro, arrivato a quota 116 navi per 33,8 miliardi, “pari a circa il 2% del Pil italiano” come ha ricordato Bono.

VERSO L’ASSEMBLEA DEL 5 APRILE

Proprio il carico di lavoro, aveva notato l’ad, sostiene “lo sviluppo di filiere e distretti tecnologici di punta, creando un effetto volàno per l’indotto e stimolando l’innovazione e l’export italiani”. Numeri che lo stesso premier Giuseppe Conte aveva definito “straordinari”, seguito a stretto giro (sempre sul Sole24Ore) da Fabrizio Palermo, numero uno di Cdp (che attraverso Fintecna detiene il 71,6% del capitale di Fincantieri) con parole positive per la gestione targata Bono, a un mese dall’assemblea del 5 aprile chiamata a deliberare sui vertici del gruppo.



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