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Il voto ai diciottenni al Senato. Una riforma costituzionale facile facile

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La primavera dei ragazzini ha messo le ali alle giovani generazioni, anche a quelli con qualche anno in più. Quelli che guardano alla politica con curiosità e non con disprezzo, coltivano passioni e non edonismi solitari, mostrano di aver capito che se non ti muovi per cambiare il tuo destino saranno altri a farlo per te, ma non è affatto detto che il prodotto finale somiglierà a quello che tu avresti voluto.

Bisogna aiutare i giovani ad entrare in politica, a riempire di senso il senso ora vuoto della cittadinanza, a riprendere tra le mani un protagonismo che fu negato (o non cercato) alle generazioni degli ultimi decenni. Perché non è l’abbassamento dell’età media del Parlamento che fa i giovani protagonisti, se a scegliere gli ingressi non è il popolo, ma qualche guardiano delle revolving doors dei grand hotel come Montecitorio e Palazzo Madama, capace solo di cooptare giovani-vecchi che hanno superato l’esame di fedeltà al padrone delle ferriere. Così come non favorisce un approccio corretto dei giovani alla politica e alla cittadinanza l’erogazione di reddito “a prescindere”.

Domandiamoci allora cosa di serio possono fare le istituzioni per dire ai giovani che qualche segnale concreto c’è di apertura delle porte della politica anche a loro. E allora cominciamo dall’abc. Che è poi la Costituzione. Nell’originale sistema bicamerale italiano – simmetrico o perfetto, fate voi, comunque rarissimo esempio nelle democrazie contemporanee – abbiamo Camera e Senato che fanno le stesse cose ma vengono eletti da due diversi corpi elettorali. Per la Camera, infatti, l’elettorato attivo (chi va a votare) deve avere raggiunto la maggiore età che è, dal 1975, di 18 anni. Al Senato, invece, votano solo dai 25 anni in su. Praticamente senza nessuna ragione giuridica, sistemica, pratica, ma solo in ossequio ad una tradizione che vuole la Camera Alta formata da anziani, in Italia quasi quattro milioni e mezzo di cittadini – che sarebbero un partito della consistenza pari all’11-12%, oggi il quarto nazionale – si vedono dimezzare il diritto elettorale.

Buoni per votare per una Camera legislativa ma non per il suo doppione. Naturalmente lo schema si riproduce anche per l’elettorato passivo, vale a dire l’età del candidato, che alla Camera dev’essere di 25 anni, mentre al Senato di 40. Perché? Boh! O forse la domanda giusta è: perché non si è messo mai mano alla correzione di questa illogica asimmetria? Eppure, a ben vedere, la diversa composizione del perimetro degli elettori delle due assemblee è essa stessa causa di molti guai delle legislature della Repubblica, con maggioranze piene da un lato e precarie dall’altro. E, comunque, resta il tema dell’ingiusta mutilazione del diritto di voto per i giovani dai 18 anni ai 25.

Passa per le Camere un disegno di legge costituzionale per la riduzione dei parlamentari: il tema non fa battere il cuore in petto, perché ogni volta che si restringe la rappresentanza si strangolano pezzi di minoranza e si fa più stretto il pluralismo, e poi basterebbe guardare al numero dei legislatori in paesi con grande tradizione democratica, come la Gran Bretagna. Comunque, visto che un veicolo ci sarebbe per infilarci dentro una cosa piccola piccola e indolore, solo per riparare ad una ingiustizia e ad una illogicità, vediamo di farlo questo piccolo gesto per i giovani italiani, restituendo il diritto di voto pieno. Chissà, forse, anche se i partiti sono tutti svaniti e di loro resta solo tanta cattiva comunicazione, questi nuovi giovani, potrebbero apprezzare.


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