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Ragioniamo con lucidità sui cinesi sbarcati in Italia

Mentre in Italia hanno sventolato le bandiere cinesi e abbiamo accolto a cavallo l’ultimo imperatore – che lo sarà a vita – il Consiglio europeo sulla Cina, ha accusato il gigante asiatico di irregolarità commerciali, a cominciare dalla chiusura del suo mercato alle imprese estere; di dare sussidi a pioggia alle sue industrie, distorcendo la competizione; e di non proteggere in maniera adeguata i diritti di proprietà intellettuale. E questo è solo una parte delle  politiche commerciali che la Commissione europea e il Servizio di azione esterna europeo (Seae) come incipit  per il Consiglio europeo dello scorso 21-22 marzo.

Vero è che per anni l’Europa era incapace di rispondere all’ascesa della potenza cinese e che anche quando una risposta comune veniva adottata, questa era solitamente debole e poco incisiva. Ora la risposta è arrivata, e molto forte. Nel suo ultimo documento – che servirà anche a preparare il Vertice Ue-Cina del 9 aprile – la Ue ha deciso di definire la Cina un ‘competitore economico’ e ‘rivale sistemico’. Contemporaneamente il Consiglio europeo ha discusso la questione della creazione dei cosiddetti ‘campioni nazionali’, una proposta dell’asso franco-tedesco fortemente sostenuta dalle elité politiche e industriali dei due Paesi. Ricordiamo molto bene  il manifesto di Macron  nel quale il presidente francese dice chiaramente che per competere con potenze quali gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, l’Europa deve dotarsi di politiche che difendano la sua sovranità tecnologica e creare industrie europee capaci di competere con le grandi imprese di Stato cinesi. Un tassello fondamentale della sovranità tecnologica è la difesa delle imprese europee dagli investimenti predatori. I

n tal senso, il Consiglio europeo ha dato il via libera al meccanismo di scrutinio degli investimenti esteri nella Ue – il cosiddetto screening mechanism – indirizzato a impedire  alle grandi imprese di stato cinesi di fare ‘shopping tecnologico’ in Europa – che porta con sé il rischio di de-industrializzazione dell’Europa nel medio-lungo periodo. Questa proposta che mira a difendere l’interesse nazionale degli Stati membri dovrebbe essere accolta con favore dalla coalizione di governo in Italia, formata da due partiti che hanno fatto della difesa della sovranità (e delle aziende nazionali) la loro bandiera. Eppure, l’Italia prima che l’imperatore venisse a firmare il Memorandum in questi giorni, il 5 marzo, durante la votazione sulla bozza del testo che ora permette alla Commissione europea e ai Paesi membri di ‘scrutinare’ gli investimenti cinesi nella Ue,  si era astenuta. Con lei solo la Gran Bretagna, che è già praticamente fuori dall’Unione e che commercia allegramente con la Cina. Il nuovo provvedimento legislativo inerente gli investimenti cinesi è parte dell’armamentario che il Consiglio europeo ha adottato per rispondere al progetto cinese di una Nuova Via della Seta (nota come Bri, acronimo inglese di Belt and Road Initiative).

È bene sapere che una risposta al progetto della Bri l’Ue l’aveva data lo scorso settembre, con la pubblicazione del documento sulla Strategia per la connettività euro-asiatica, contiene norme e principi di ispirazione occidentale e ai quali spesso le aziende cinesi non si attengono. In questi giorni diversi Paesi membri dell’Ue hanno avuto parole molto dure riguardo il progetto infrastrutturale di Pechino e l’Italia  invece ha sottoscritto il progetto cinese di Nuova Via della Seta durante la visita del presidente cinese Xi Jinping. I nuovi “compagni” pentastellati con la copertura dei leghisti possono dire quel che vogliono e cioè che il Memorandum d’Intesa che l’Italia ha firmato con la Cina fa chiaro riferimento alla Strategia europea per la connettività euro-asiatica e  rappresenta un modello anche per altri Paesi avanzati. Anche no però perché non va dimenticato che una tale strategia può essere efficace nei confronti di Pechino solo se dietro si muove compatto l’intero blocco europeo, altrimenti singoli paesi – anche molto forti economicamente come la Germania – poco possono di fronte al gigante asiatico.

Il governo italiano con i bulimici sovranisti pentastellati-leghisti ha agito da battitore libero ed è così che indebolisce l’area Euro in un  momento storico dando anche i numeri a caso come per esempio che si sono sottoscritti  per due miliardi  di euro di accordi che “possono diventare 20 miliardi”. Ma noi ora siamo piccoli e deboli  e l’attuale divisione dell’Europa porta immediati benefici a Pechino ma non sicuramente a noi nei confronti delle politiche commerciali della tigre asiatica e del rafforzamento dell’Unità europea.

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