Gian Maria Gros-Pietro sale ai vertici del consiglio di gestione di Intesa San Paolo, la banca di sistema per eccellenza, nel momento più delicato per il mondo del credito, sia in Italia che in Europa. A giugno, si sa, entrerà nel vivo la partita dell’unione bancaria, probabilmente la tappa decisiva per la tenuta dell’euro.
A questo appuntamento Intesa San Paolo, la bandiera del made in Italy allo sportello, s’avvicina con una situazione, almeno all’apparenza, migliore della concorrenza: il capital ratio dell’istituto è pari al 10,5% contro l’8,7% di SocGen, il 9% circa del Crédit Agricole e il 7,5% di Commerzbank.
Ma la banca tedesca ha già annunciato un aumento di capitale nell’ordine di 2,5 miliardi di euro, poco sotto quello annunciato da Deutsche Bank (2,8 miliardi), da molti considerato apripista di un ciclo di ricapitalizzazioni su tutto il Continente. Non è difficile immaginare che presto anche in Italia la questione del rafforzamento del capitale tornerà d’attualità. Basteranno alora i mezzi risicati delle Fondazioni? Sarà possibile (e saggio) allargare l’azionariato a investitori internazionali?
Il sistema bancario non gode, a ragione, di buona stampa: “Mai – ha scritto Marco Onado – le banche hanno avuto tanta facilità di approvvigionarsi di liquidità. Mai a condizioni così vantaggiose. Eppure mai è stato così difficile per un’impresa trovar credito”. Vero.
La vera situazione delle banche
Ma è altrettanto vero che il sistema fa i conti, mese dopo mese, con l’esplosione delle sofferenze (+21% ad aprile). Dopo anni di rinvii, cominciano ad esplodere le aziende zombie, tenute in piedi dall’illusione di una ripresa che, per loro, è ormai un’illusione. E cresce il rischio di trovarci di fronte banche zombie: non è il caso di muoversi al più presto nella prospettiva di una bad bank per consentire agli istituti di gettarsi su impieghi buoni?
I confronti con Salza e Beltratti
Di queste ed altre questioni si occuperà da oggi Gian Maria Gros-Pietro, presidente di sistema di una banca di sistema. Se Enrico Salza fu a suo tempo il presidente chiamato a reprimere i malumori torinesi per la “svendita” del San Paolo (accusa che gli è costata il posto), il successore Andrea Beltratti è stato un presidente di transizione, spesso silente all’esterno, ancor di più nelle faccende di casa. Forse la soluzione giusta in un momento complesso per la politica (chi si ricorda ancora il protagonismo di Giulio Tremonti?) e di transizione per i poteri bancari.
Il compito di Gros-Pietro
Oggi Gros-Pietro si ripropone, come ai tempi dell’Iri o di Autostrade, come un interlocutore seppur rispettoso ma autorevole nei confronti della classe politica e dei poteri bancari. Sarà un presidente a tutto tondo, ancor più di Salza perché al suo fianco non c’è una personalità del calibro di Corrado Passera ma Enrico Cucchiani che solo ieri, probabilmente, ha preso possesso della macchina.
La nuova catena di comando di Intesa
Nel nuovo consiglio di gestione, accanto agli uomini delle fondazioni (più propensi a vigilare sul rispetto delle pretese di casa) figurano finalmente i manager. Sia i collaboratori più vicini al ceo, a partire dal direttore finanziario Carlo Messina, che sarà anche dg vicario, che il Chief Risk Officer Bruno Picca, che Gaetano Micciché, forte dei risultati ottenuti alla guida del corporate ma troppo vicino a Passera per piacere al successore. Tant’è, alla fine i tre sono diventati consiglieri esecutivi, il nucleo forte alle dipendenze del Ceo.
Il ruolo di mediazione
Anche questo toccherà a Gros-Pietro: il ruolo di mediazione tra la macchina operativa del business e le esigenze dei rappresentanti degli azionisti in consiglio. Un ruolo difficile, che richiede pazienza. Virtù che senz’altro non fa difetto all’economista e manager.