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Tlc, gli investimenti in infrastrutture aumentano. Ma la domanda è (ancora) troppo bassa

Si riduce il gap con gli altri Paesi dell’Unione europea dal punto di vista dello sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione, mentre stenta ancora a decollare la domanda di servizi digitali da parte dei cittadini italiani. È questa la fotografia scattata dallo studio condotto dall’Istituto per la Competitività (I-Com) per l’Associazione italiana internet provider (Aiip) dal titolo “Dare fibra al futuro dell’Italia. Scenari di sviluppo della rete di banda ultralarga”. Il rapporto è stato presentato al Tempio di Adriano, in occasione del convegno annuale Aiip.

L’APPUNTAMENTO

Dopo l’introduzione del presidente Aiip Giuliano Peritore e la presentazione del rapporto, si è svolto il dibattito che si è articolato in due distinti panel. Il primo, con il punto di vista delle istituzioni, è stato moderato dal direttore comunicazione I-Com Andrea Picardi e ha visto la partecipazione della senatrice Lega Cinzia Bonfrisco e delle deputate Enza Bruno Bossio (Pd), Maria Laura Paxia (M5s) e Federica Zanella (Fi). Presenti, inoltre, il segretario generale Agcom Riccardo Capecchi, il presidente Infratel Maurizio Decina, Giuseppe Roberto Opilio del fondo Cebf e il presidente della Fondazione Ugo Bordoni Antonio Sassano. Nella seconda parte la direttrice di CorCom Mila Fiordalisi ha moderato la discussione tra gli operatori tlc: il vice presidente Aiip Renato Brunetti, l’head of regulatory strategy and equivalence TIM Francesco Castelli, il presidente I-Com Stefano da Empoli, il direttore generale Infratel Salvatore Lombardo, il direttore affari regolamentari di OpenFiber Francesco Nonno, il responsabile dell’ufficio studi Confindustria digitale Roberto Triola, Andrea Valli dello studio legale Valli e associati e il consigliere Aiip Giovanni Zorzoni.

GLI INVESTIMENTI IN INFRASTRUTTURE

Secondo il rapporto, negli ultimi anni in Italia abbiamo assistito a un’accelerazione degli investimenti sia pubblici sia privati in infrastrutture digitali. Una crescita che ha permesso di recuperare il ritardo strutturale accumulato negli anni precedenti. In generale, per quanto riguarda la copertura delle diverse tecnologie fisse e mobili, emerge il sostanziale allineamento tra i dati rilevati nel contesto italiano e quelli europei. Anzi, salvo alcuni casi specifici, le performance del nostro Paese sono migliori di quelle fatte registrare dagli altri Stati membri dell’Unione europea per la maggior parte delle tecnologie. A primeggiare sono le tecnologie Dsl, seguite da quella Fiber to the premises (Fttp), Fiber to the home (Ftth) e Fiber to the building (FttB). Nel dettaglio sono positivi i numeri registrati per la copertura in banda larga: in Italia il 99,3% delle famiglie vive in aree servite da questi servizi di rete, a fronte di una media europea del 97,4. Nello specifico, la Sicilia guida la classifica con una percentuale di copertura delle unità immobiliari complessive pari all’88,7%. Al secondo posto la Puglia – che lo scorso anno occupava il primo gradino del podio – con l’87,5%, seguita dal Lazio con (86,5%). Sopra all’85% invece la copertura registrata in Toscana, Liguria e Campania. Altre sette regioni (Lombardia, Calabria, Emilia Romagna, Basilicata, Veneto, Marche e Umbria) hanno registrato una percentuale che oscilla tra il 75 e il l’85%, mentre si posizionano agli ultimi posti il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta, rispettivamente con il 58,5 e il 45,3%.

LA DOMANDA CHE ARRANCA

Nonostante la copertura sia sempre più estesa, la domanda fatica decisamente a decollare. In sostanza, gli italiani usano poco (e spesso male) la connessione alla rete. Da questo punto di vista i numeri del nostro Paese sono mediamente molto più bassi di quelli del resto d’Europa. Lo studio, che riprende i dati Eurostat, mostra come i primi sette Paesi con il maggior numero di famiglie connesse alla banda larga siano l’Olanda, Regno Unito, Lussemburgo, Finlandia, Danimarca, Germania e Svezia (con percentuali che vanno dal 90 al 97%). In Italia, invece, solo l’83% delle famiglie utilizza i servizi offerti dalle reti a banda larga. Tuttavia il rapporto I-Com sottolinea l’evoluzione della performance del nostro Paese degli ultimi dieci anni: si è passati da una percentuale che superava di poco il 30% a un aumento di quasi il 50. Anche in questo caso dunque sembra di trovarsi di fronte a un’Europa a più velocità, con i Paesi del Nord che trainano la classifica e altri come ad esempio l’Italia che non riescono ad allontanarsi dalle ultime posizioni. I principali fattori che determinano questa distanza, in base a un recente studio Istat, sono principalmente di natura generazionale e culturale: le famiglie più connesse sono quelle in cui è presente almeno un minore mentre quelle che sfruttano meno i benefici tecnologici sono composte da persone con più di 65 anni. Il divario deriva pure da differenze in termini di titolo di studio: il 94,9% delle famiglie con almeno un laureato usufruisce dei servizi della banda ultralarga mentre nel 64% dei casi il titolo di studio più alto è la licenza media.

IL COMMENTO DI DA EMPOLI

Lo studio ha registrato un sensibile recupero dell’Italia nei confronti della media dei Paesi europei dal punto di vista dell’offerta, anche se non è affatto il tempo di rilassarsi. Sia perché la copertura della fiber to the home (FTTH) è ancora insufficiente, sia perché ci sono ostacoli di natura regolamentare che si frappongono agli investimenti già previsti dalle imprese del settore“, ha commentato il presidente I-Com da Empoli. Che poi ha aggiunto: “Tuttavia, il lato più preoccupante è quello della domanda: in questo senso sono certamente positivi gli annunci del governo sulla seconda fase del piano Bul. Benissimo intervenire su scuole e imprese, soprattutto piccole e medie, ma non dobbiamo dimenticarci delle fasce di popolazione più esposte al digital divide. Il rapporto mostra come per gli over 65 solo il 34% sia utente abituale di Internet contro il 52% dell’Europa e l’80% e oltre dei Paesi Nordici. Occorre dunque una strategia complessiva che interessi tutte le classi socio-demografiche”.

LE IMPRESE ITALIANE E IL CLOUD 

Inoltre, lo studio affronta l’impatto delle tecnologie digitali sul mondo delle imprese e fotografa alcune arretratezze del nostro Paese. Solo un quinto delle aziende ha acquistato servizi di cloud computing, solo l’8,7% utilizza macchinari robotici (industriali o di servizio), solo il 4,4 usa la stampa 3D. Cresce invece la consapevolezza e la conoscenza del piano industria 4.0 lanciato dal Governo nel 2016 – oggi rinominato “Impresa 4.0” – e dei temi legati allo sviluppo di soluzioni tecnologiche sul posto di lavoro: appena il 2,5% delle imprese non ha mai sentito parlare di investimenti in questo settore, il 15% è in fase esplorativa mentre il 55 ha già adottato misure in linea con le soluzioni 4.0.



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