Giornalismo, professione difficile che oggi vive tutte le sfumature della crisi: dall’appiattimento delle fonti, che ognuno si illude di ritenere attingibili con un click sulla testiera dello smartphone, al diffuso convincimento di poter fare a meno del mediatore dell’informazione, perché, in fondo, che bisogno c’è? fino all’attacco frontale dei nuovi maggiorenti della politica, nel desiderio insano di normalizzazione e di conformismo. Beh Massimo Bordin, grande professionista scomparso qualche ora fa all’età di 67 anni è stato per il giornalismo come l’ultimo dei mohicani: il modello dell’irriducibilità di questo mestiere a farsi strumento ancillare nei confronti dei potenti. È stato un modello di giornalista che andrebbe insegnato a scuola, insieme all’educazione civica che ancora non c’è ma che pare si voglia ripristinare.
Radicale, pannelliano della prim’ora e poi in polemica con l’amico Marco per ragioni di principio, è stato per vent’anni direttore della mitica radio di partito – sempre fedele al registro dell’indipendenza e della verità – per poi dimettersi di punto in bianco per motivi di coerenza con la posizione di contrasto con il suo sodale ed editore. Con Pannella riprese poi rapporti di fraternità fino alla scomparsa del leader radicale. Ma lui, Massimo, non sarebbe più tornato alla guida della radio, di cui restò voce seguitissima nella rubrica mattutina di rassegna stampa “Stampa e regime”. Se esiste un catalogo delle voci, una gamma che disegna la capacità di una vibrazione delle corde vocali di catturare l’attenzione di chi ascolta, sicuramente quella di Massimo sta nella parte alta della hit parade delle voci radiofoniche.
Era una voce arrochita dal fumo, attraversata da una percepibile ma non ostentata cadenza romanesca e da sfumature ironiche, una voce calda e precisa. Parole accurate per commentare i titoli, profilo didattico per spiegare le connessioni, gli impliciti, i dati per scontato che poi scontati sono solo per chi scrive. Ironico, talvolta paradossale, giocava soprattutto con la giustapposizione delle notizie, una sorta di Blob avanti lettera fatto artigianalmente, con le parole e non con le immagini televisive. Ironico, sì. Mai sarcastico, mai cattivo. E che bisogno c’è di caricare in cattiveria, di far male col commento quando i politici si fanno male da soli, basta farli dichiarare con parole loro?
Lavoro artigianale dietro la sua rassegna, certosino: scavo di notizie che nelle rassegne degli altri non trovi. Aveva inventato un genere letterario: la rassegna stampa come ipertesto coerente. Una narrazione mattutina che si fa non caleidoscopio burocratico di notizie prelevate così come capita in base all’agenda setting dei tiggi’ del giorno prima, ma che si propone come pedagogia della notizia, racconto del “come”, in un racconto di cose vere, con rimandi affidabili. Un giornalista serio, lontano dallo story telling e dal retroscenismo. Implacabilmente sul pezzo. L’èlite politica e l’alta burocrazia hanno per anni cominciato le loro giornate col caffè e con Bordin. Perché alla fine era lui a far capire che cosa questa strana gente delle alte sfere aveva combinato il giorno prima, nelle aule parlamentari o nelle stanze di un ministero.
Un uomo schivo: non una star dei talk show à la page, non una faccia, ma una voce. Una voce, un cervello raffinato e un cuore limpido. Addio, Massimo. Starai da qualche parte a sorseggiare caffè la mattina. Con lo sguardo sornione e un mezzo sorriso triste sulla faccia. Mentre un sacco di gente che conta starà lì a domandarsi cosa veramente è successo ieri, senza avere nessuno che glielo spieghi. Magari leggendogli il commento giusto che i più hanno trascurato. Ci mancherai.