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Che cosa cambierà nei cieli col regolamento europeo sui droni

Di Roberto Setola e Marco Tesei
droni, cina

Il primo aprile l’aeroporto di Milano Malpensa ha dovuto cancellare quattro voli – poi dirottati verso gli aeroporti di Linate e Torino – a causa di un drone non identificato e non autorizzato individuato sulla pista. Il caso di Malpensa si accoda a quello ben più famoso, impattante e mediatico di Gatwick, oltre che ai casi occorsi a Wellington e Tijuana, tutti accomunati da un problema di fondo: la mancanza di contromisure adeguate in caso di violazione del perimetro da parte di mezzi unmanned. Malpensa condivide con Wellington i tempi di disservizio ridotti, probabilmente causati da un pilota incauto ma non malevolo, mentre Gatwick ha dovuto vivere un vero e proprio psicodramma assistendo con impotenza alle azioni deliberate e mirate a compromettere la funzionalità dell’aeroporto. Azione portata a termine con successo e senza conseguenze per l’aggressore.
Per quanto il caso di Malpensa sia il più importante fra quelli occorsi in Italia, visti i voli dirottati, la difficile interazione tra droni e spazio aereo è già certificata da tempo dall’Agenzia Nazionale Sicurezza Volo (Ansv) che già nel 2017 nel suo rapporto annuale snocciolava 46 casi e citava a chiare lettere il più critico dei problemi: “Nella quasi totalità degli eventi segnalati l’Ansv non ha potuto acquisire dati utili per un adeguato approfondimento (per la sostanziale impossibilità di individuare l’operatore del mezzo aereo a pilotaggio remoto)”. Sempre l’Ansv ancor prima, nel 2015, definiva “zona d’ombra” il contesto della nomenclatura dei mezzi Apr, segnalando all’Ente Nazionale Aviazione Civile (Enac) le difficoltà riscontrate già nella fase di segnalazione dell’anomalia da parte del personale aereo: aeromodello, mezzo Apr o più genericamente drone? I primi due casi richiamano due regolamentazioni diverse, laddove il terzo per quanto più inclusivo non rimanda ad una regolamentazione univoca, rendendo il tema della legittimità o meno di un determinato volo ancor più complesso da definire.

Anche volendo estendere il discorso oltre i confini aeroportuali, il tema della difficile interazione tra mezzi Apr e infrastrutture critiche è ben noto, ma tutt’ora non risolto anche a causa della sostanziale impunità a cui il pilota – che sia un aeromodellista spregiudicato o un operatore aereo ignorante – va incontro. È dall’impunità che spesso nascono le azioni dimostrative di sabotaggio: senza scomodare di nuovo Gatwick, nel 2018 Greenpeace ha avuto modo di sorvolare una centrale nucleare francese con un drone “vestito” da Superman. Superman si è poi sacrificato schiantandosi in maniera simbolica contro un serbatoio. La situazione è talmente grave ed incontrollabile che esistono casi in cui conviene sperare che l’azione sia semplicemente dimostrativa: se Superman fosse stato caricato con Ied?
Altre azioni dimostrative, innocue ma comunque illegali, sono poi consultabili su YouTube numerosi video di sorvoli su centri cittadini, opere d’arte (anche il Colosseo) o manifestazioni pubbliche.

I droni sono uno strumento capace di generare una minaccia asimmetrica ed in quanto tale, al pari del terrorismo, non consentono la previsione di una soluzione univoca. La European Union Aviation Safety Agency (Easa) col nuovo regolamento europeo in materia droni imporrà (il regolamento sarà definitivamente operativo dal 2022) la registrazione di tutti i droni indipendentemente dalla finalità. A ciascun drone poi, per essere in regola, dovrà essere necessariamente associato uno o più piloti; simili informazioni dovranno essere inoltre disponibili, sulla falsariga di quanto già avviene per le automobili, non solo degli organi deputati al controllo del traffico aereo ma di tutte le forze dell’ordine presenti nella zona al fine di poter tutelare al meglio la popolazione e/o beni differenziando fra voli autorizzati (e quindi leciti) da voli “abusivi” (le cui finalità potrebbero essere anche eversive). È un buon tentativo di ridurre quell’effetto impunità che ha creato problemi diffusi fino ad oggi, ma è un vano esercizio di stile considerando il fatto che la registrazione e l’accoppiamento drone/pilota vengono lasciati alla discrezione del proprietario: per quanto risulteranno più facili e coerenti le modalità di rilevazione di un drone fuori-legge, al netto di strumenti di indagine portatili a disposizione degli organi competenti che, ad oggi, non esistono, chi vorrà continuare ad agire in maniera malevola con azioni di sabotaggio/terrorismo si guarderà bene dal registrarsi.

L’azione intrapresa dalla Easa prova a mettere ordine in un mercato che tutte le stime prevedono in continua ed inesorabile espansione, mettendo a disposizione di chiunque, con una spesa contenuta, uno strumento che attualmente incontra contromisure incerte a discapito di interruzioni di servizio, o danni di immagine, dai costi se non pienamente certi, di sicuro rilevanti e raramente preventivabili in un documento di analisi dei rischi.



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