La frase è forte e sicuramente sarà usata come clava nel dibattito politico. Già “Repubblica” ci ha imbastito il titolo di prima pagina stamattina. E, con ogni probabilità, anche la risposta non si farà attendere. Perché non è troppo difficile scorgere Matteo Salvini come destinatario dell’ammonimento rivolto dal capo dello Stato durante le celebrazioni della Resistenza: “la storia insegna – ha detto Sergio Mattarella – che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono una piega tragica e distruttiva”.
Come è noto, Salvini aveva detto di preferire di essere il 25 aprile a Corleone, ove si apriva un commissariato di polizia, piuttosto che celebrare la ricorrenza con le altre autorità dello Stato. Ove Corleone è da considerarsi, nell’immaginario pubblico, come la patria della mafia, come il luogo da dove partire per garantire la nostra sicurezza. Lasciamo per una volta il giudizio politico ai lettori, ma cerchiamo di chiarire quale è il rapporto fra sicurezza e libertà umana.
Intanto, bisogna osservare che a quote di libertà, senza accorgercene, siamo già stati costretti a rinunciare da qualche anno a questa parte. L’emergere di un terrorismo sanguinario che ha per bersaglio i civili ha fatto ricomparire, nelle nostre piazze e nelle nostre strade, agenti armati di mitra in servizio permanente effettivo. Le nostre vite, anche grazie alle nuove tecnologie informatiche, sono poi sempre più controllate. Il che, fin quando è fatto da autorità pubbliche, non è un male, o meglio è una necessità dettata dai tempi. Ciò ci fa capire che il rapporto fra sicurezza o ordine, da una parte, e libertà, dall’altro, è dialettico e storicamente situato.
La libertà, in epoca moderna, è stata garantita, seppure a fasi alterne, solo in quanto si è incardinata nello Stato. Il quale, in quanto detentore in ultima istanza della forza legittima, ha potuto gradualmente estendere anche gli spazi individuali di ciascuno evitando il far west. La massima regolativa kantiana secondo cui la libertà di ognuno finisce ove inizia quella degli altri, sarebbe una mera utopia senza un’entità che mettesse a freno con la sua forza gli inestirpabili istinti di prevaricazione che (insieme agli istanti contrari) sono presenti nell’animo umano. Lo Stato, come è evidente nel pensiero del suo primo e massico teorico, cioè Thomas Hobbes, nasce perciò prima di tutto per garantire la sicurezza, cioè la vita dei cittadini sottoposti alla sua giurisdizione. Solo poi esso può garantire il resto, compresa la libertà, che è il valore umano per antonomasia e che giustamente ci sta a cuore più di ogni altra cosa.
La domanda da porsi è perciò è a quanta sicurezza possiamo oggi rinunciare. Il rapporto fra ordine e libertà è infatti un rapporto causale, seppure in senso storico e dialettico, e non di forze fra di loro inversamente proporzionali. Anzi, se aumenta la libertà significa che è aumentata la sicurezza di base e che tutti si sentono e sono più tranquilli e non hanno da temere dal prossimo. Aumentare tuttavia la libertà senza che la sicurezza sia passabilmente garantita, è semplicemente da folli. Se oggi a ragione siamo molto sensibili al problema dell’ordine e della sicurezza, è proprio per non perdere quei residui e consistenti spazi di libertà che la nostra civiltà ancora ci assicura.
In ogni caso, credo che una cosa sia la difesa della libertà e un’altra il 25 aprile. La liberazione dal fascismo fu infatti opera anche di forze che non credevano nel valore della libertà, almeno di quella formale che solo ci è dato concepire. La libertà poté poi crescere nel nostro Paese anche e soprattutto in virtù della nostra collocazione internazionale. È forse proprio alla luce di queste considerazioni che Salvini ha disertato le celebrazioni. Ma qui siamo su un diverso livello di discorso e tutti dovrebbero prenderne atto.