Viene in mente il libro di Roberto Vivarelli, La fine di una stagione, se si guarda con un briciolo di attenzione a quello che le cronache (non solo politiche) di queste ultime settimane consegnano ai nostri occhi. Sebbene la crisi economica abbia inaridito non poche coscienze, non fosse altro perché ognuno pensa a come tirare a campare e ad arrivare a fine mese, lo spazio per riflettere e cercare di comprendere meglio il presente non è stato ancora del tutto eroso. Perché se da un lato l’avvio del governo guidato da Enrico Letta ha senza dubbio contribuito a lanciare segnali e messaggi di speranza, ciò che quotidianamente accade nelle strade e nelle piazze italiane desta non poche preoccupazioni. Il riferimento va non solo alla recente sparatoria di Piazza Colonna ad opera di Luigi Preiti, segno evidente (e tangibile) di un malessere profondo che sta emergendo con forza, ma anche (e soprattutto) ai fatti di Brescia. Dove alcuni sostenitori del Popolo della Libertà sono stati aggrediti fisicamente, lo scorso sabato 11 maggio, per aver espresso la volontà di scendere in piazza a sostegno del leader del loro partito. E se la questione non è tanto (o non è solo) di merito – la magistratura svolge pur sempre una funzione necessaria in uno Stato di diritto, fermo restando che le “disfunzioni” italiane andrebbero al più presto risolte – a preoccupare dovrebbero essere il livore e il risentimento che animano gli spiriti (e le azioni) di molti: può dirsi forse civile un paese in cui non si dà all’altro la possibilità di esprimere un pensiero o un’opinione? Che genere di messaggi positivi possono trarre le giovani generazioni da attimi in cui può accadere di tutto solamente perché determinate persone sposano una causa piuttosto che un’altra?
Non è ancora chiaro se questo “governo di servizio al Paese” (copyright di Enrico Letta) abbia di fatto inaugurato la Terza Repubblica: il caso francese insegna infatti che rilevanti e significative cesure devono essere anticipate da modifiche istituzionali e da consistenti variazioni dell’assetto costituzionale. Quello che invece è certo è che una reale e fattiva pacificazione del Paese tarda ad arrivare, mentre si criminalizzano situazioni che non destano allarme e se ne giustificano altre che invece andrebbero monitorate con estrema attenzione. Ecco perché l’insegnamento di Vivarelli, che nel suo libello, contenuto per forma ma non già per sostanza, ripercorre gli anni che vanno dal 1943 al 1945, è più che mai attuale. Oltre le barricate, oltre le divisioni e le fratture, al di là delle fazioni e delle appartenenze politiche, c’è un Paese che chiede anzitutto di essere pacificato. Riunito. Saldato di nuovo attorno a valori e principi che ne costituiscono l’essenza e il naturale fondamento storico, civile e morale.