Se invece di rincorrere la scivolosa rapsodia del tweet dei potenti di turno, riportandone scrupolosamente ogni lieve scossa di assestamento nella flaccida scala Mercalli della politica, l’opinione pubblica riuscisse a porsi qualche domanda, come usava una volta, sulla spinta del bravo giornalista che faceva le domande (e non il copia e incolla delle dichiarazioni), forse la scena pubblica italiana avrebbe un altro e diverso aspetto che non quello che mostra attualmente.
Ragioniamo: siamo ad undici mesi di governo bicolore e abbiamo fatto overdose di roboanti dichiarazioni palingenetiche, di microconflitti settimanali tra gialli e verdi, di sparate a destra e a sinistra (letteralmente, nel senso che era una volta politico), con l’unico effetto di coprire tutto lo spettro politico, della maggioranza e dell’opposizione, risucchiando alla minoranza parlamentare ogni residuo spazietto.
Armi di distrazione di massa: come diversamente catalogare le intemerate salviniane sull’immigrazione, sulla legittima difesa, l’ostensione della terra promessa della flat tax teorizzata dal noto economista Siri, la castrazione – chimica e non – per i pedofili, e le asimmetriche mitologie dimaiane del reddito di cittadinanza, della riduzione dei parlamentari, dei referendum propositivi, dell’adesso vi facciamo vedere noi quante infrastrutture per l’Italia ma non chiedeteci la Tav, che quella pare brutto? Perché – e questo è il punto – non si è battuto chiodo sul piano dell’occupazione, di una decente riforma fiscale che faccia pagare a tutti ma un po’ meno, della spinta all’impresa, della riduzione del debito pubblico, tanto per citare le cose più macroscopiche (per tacer del Mezzogiorno).
Attenzione: non che ci aspettassimo che in questo anno scarso il “contratto” gialloverde avrebbe avuto la forza taumaturgica di resuscitare un Paese che già in partenza viveva le sue difficoltà. Ma forse il diritto di esigere qualcosa di più della comunicazione potevamo pure coltivarlo, che so, tipo sapere che visione strategica i due sodali improbabili abbiano dell’Italia, che tipo di Europa vogliano, se, per caso stiano a tifare per una Ue a trazione Orban e al servizio dei colossi americani del web, come hanno mostrato concretamente di voler fare in occasione dei voti su Dublino IV e sul diritto d’autore. Insomma: sotto la felpa multibrand di Salvini e sotto la giacchetta con cravatta azzurra di Di Maio c’è qualcosa di più di un’ansia della sopravvivenza quotidiana? Lo spread tra realizzazioni concrete e l’abitazione di vessilli elettorali diretti non alla parte razionale dell’elettore ma a quella istintuale, lascerebbe pensare che ci aspetta ancora un periodo di galleggiamento sul nulla della comunicazione pensata per la pancia.
Una scommessa? Vuoi vedere che il prossimo impegno del governo sarà agitare la riapertura delle case chiuse, tema centrale nei dibattiti politici da bar dello sport che appassiona assai più del destino dell’Europa?