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I dazi sono un boomerang ma il Made in Italy resisterà. Parola di Quintieri (Sace Simest)

dazi

Sembrava che si fosse vicini ad un accordo e invece la notizia che il presidente americano Donald Trump ha deciso di rialzare da venerdì i dazi, dal 10% al 25% su 200 miliardi di dollari di beni “Made in China”, si è abbattuta sulle borse asiatiche, tutte negative e sull’Europa. Ma il Made in Italy, nonostante tutto, potrebbe resistere alla nuova ondata di barriere commerciali. Ne è convinto il presidente della Sace Simest, Beniamino Quintieri, che in questa intervista a Formiche.net spiega quali sono i rischi ma anche i punti di forza per le nostre imprese.

Presidente, è bastato solo l’annuncio per vedere le Borse europee subire un contraccolpo con Piazza Affari che al suono della campanella ha bruciato il 2% della propria capitalizzazione trascinata al ribasso dai titoli più legati al commercio con Pechino. Secondo lei perché?

L’annuncio di ieri è stato senz’altro inaspettato proprio perché è in corso il rush finale dei negoziati per una tregua commerciale tra i due Paesi. Il nuovo round è previsto in settimana e quindi la minaccia sui dazi andrebbe letta, più che come una minaccia reale, come un elemento di tattica pre-negoziale. Un elemento da leggere con cautela, ma senza allarmismo. L’accordo potrebbe avere esiti positivi e i giochi sono aperti.

Perché la Cina è così importante per il nostro Made in Italy?

Innanzitutto, perché è tra i mercati più grandi al mondo e perché oggi c’è una nuova evidente sincronia di opportunità sul fronte dell’interscambio fra i nostri due Paesi. Se nel recente passato la somiglianza della nostra specializzazione produttiva a livello settoriale ci faceva apparire Pechino come una concorrente, la transizione cinese verso un modello economico solido, focalizzato su crescita interna, rilancio dei consumi, sviluppo dei servizi e upgrade della struttura produttiva verso attività a maggior valore aggiunto ha trasformato gli ostacoli del passato in straordinarie opportunità di collaborazione. Grazie alla maggior apertura della Cina, i beni di consumo e le tecnologie Made in Italy potranno più facilmente intercettare la crescente domanda che la trasformazione dell’economia cinese stimolerà e plasmerà in un orizzonte di medio periodo.

Ma davvero Pechino è così indispensabile per le nostre imprese?

La Cina rappresenta oggi un leader globale in grado di catalizzare grandi opportunità anche in paesi terzi, come esemplificato dal programma Belt and Road Initiative, che vede la Cina al centro di 1400 miliardi di dollari di investimenti nei prossimi 5 anni. Proprio in questo ambito, per realizzare i grandi progetti infrastrutturali e satellite previsti nei molti paesi coinvolti dalla Belt and Road Initiative, i grandi contractors cinesi avranno sempre più bisogno di tecnologie all’avanguardia e capaci di rispettare alti standard ambientali – beni e servizi che le imprese italiane possono offrire a condizioni competitive. In questa direzione stiamo lavorando anche come Sace Simest, attraverso accordi strategici per favorire il posizionamento delle nostre imprese nelle catene internazionali.

Intanto si teme però una escalation diretta di Trump verso l’Europa che potrebbe aumentare i dazi sull’automotive. E l’Europa senza governo in questa fase di transizione sembra debole…

Proprio in questi giorni scadrà il “dossier automotive” sulla proposta americana di imporre dazi sul Made in Europe, con le tariffe doganali sulle vetture che potrebbero arrivare al 25%. E ci saranno sicuramente degli effetti diretti, ma anche indiretti sull’Unione Europea e in particolare sulla Germania. Ovviamente anche l’Italia verrebbe colpita considerando la stretta connessione che c’è con la Germania, soprattutto sul settore automotive.

Si dice sempre che il nostro Paese è un paese trasformatore che ha bisogno di importare materia prima e di lavorarla… Eppure la politica dei dazi e delle barriere sembra affascinare anche qualche nostro governante. Lei che ne pensa?

In un mondo sempre più interconnesso, le barriere diventano spesso un boomerang. Dati alla mano, l’esperienza ci insegna che gli iniziali benefici per un paese che adotta misure protezionistiche tendono a esaurirsi e essere controbilanciati dagli effetti negativi che queste generano in un orizzonte temporale più esteso. Anche se aumentano le misure di chiusura, non ci stiamo avviando verso la fine della globalizzazione quanto piuttosto verso una sua nuova fase. Alcuni mercati si chiudono, ma molti si aprono, spostando il baricentro della competizione globale dai singoli stati alle catene globali del valore (Cgv), in cui le nostre imprese godono peraltro di un buon posizionamento. Consapevoli di questo e alla luce dell’importanza strategica dell’export per la nostra economia, come Sistema Italia dobbiamo continuare intercettare la crescita sui mercati esteri laddove proverrà, investendo sulla qualità della nostra offerta.

Il commercio estero italiano è a rischio con queste nuove misure daziali?

Per un paese a forte vocazione esportativa come l’Italia, la contrazione del commercio internazionale, di cui le politiche protezionistiche sono concausa, è sicuramente un fattore di preoccupazione. D’altra parte, l’incertezza e la volatilità che caratterizzano i mercati in questo momento storico sono importanti, ma dobbiamo abituarci a considerarle come la nuova normalità. In un contesto di innegabile complessità, le esportazioni continuano a essere uno dei driver primari della crescita del nostro Paese. I dati dell’ultimo anno lo dimostrano, con l’export italiano che, seppur rallentato rispetto all’exploit del 2017, ha segnato una crescita del +3%, superando i 460 miliardi di euro.

Che anno sarà dal vostro punto di vista per le esportazioni del nostro Made in italy? Questa guerra dei dazi potrebbe avere dei contraccolpi?

Anche per il 2019, gli analisti sono concordi nella previsione di una dinamica di crescita positiva per le esportazioni italiane, che sembra scongiurare il pericolo di recessione per il nostro Paese. L’offerta Made in Italy continua a dar prova di resilienza. Le nostre esportazioni, poco elastiche rispetto al prezzo, sono, in effetti, un po’ più al riparo dalle conseguenze dirette di dinamiche quali la guerra commerciale. La partita della competitività si gioca, infatti, anche sulla componente non di prezzo, ossia su quella qualità dei prodotti per cui l’Italia è ampiamente apprezzata a livello globale. In questo contesto, nel 2019 dovrebbero tenere meglio i beni di consumo. Un comparto, questo, in cui il nostro Paese annovera eccellenze di grande appeal a livello globale – si pensi alle tre “F” fashion, food and forniture – che hanno i giusti anticorpi per reagire alla complessità.


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