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Nessuno parli di Armenia

Sono passati 93 anni da quel massacro che, ancora oggi, in molti si ostinano a negare. Il 24 aprile 1915, quando imperversava la prima guerra mondiale, il popolo degli armeni subì un vero e proprio genocidio. Erano circa 2 milioni. Ne furono uccisi circa 1,5 milioni. Solo nel 1985 l’Onu e il Parlamento europeo hanno dichiarato il complesso di quelle morti “genocidio”.
Nell’ottobre del 2006 Robert Fisk, corrispondente per The Independent, scrisse: “Le vittime armene furono uccise con pugnali, spade, martelli e scuri per risparmiare le munizioni. Annegamenti di massa furono effettuati nel mar Nero e nell’Eufrate, principalmente di donne e bambini, talmente tanti che l’Eufrate si intasò di cadaveri e deviò il suo corso di forse mezzo miglio. Ma Dadrian, che parla e legge correntemente il turco, ora ha scoperto anche che decine di migliaia di armeni furono bruciati vivi nei fienili”.
“Metz Yeghern”. In lingua armena significa “il grande male”. È così che i sopravvissuti hanno deciso di chiamare quell’orrore che porta la firma dei turchi ottomani. Ancora oggi la voce dei negazionisti è più forte della terribile verità. Due anni fa la Francia di Chirac approvò un disegno di legge in cui si giudicava reato negare il genocidio armeno. A quell’epoca il ministro degli Interni era proprio Nicolas Sarkozy, l’attuale premier francese che oggi come allora chiede apertamente alla Turchia l’ammissione del genocidio come condicio sine qua non per l’entrata a pieno titolo nell’Unione europea. La sensibilità francese dipende forse dal fatto che proprio oltralpe la comunità armena si aggirerebbe a circa mezzo milione di persone.
Qual è la situazione attuale? Il governi turco e armeno devono ancora aprire un vero dialogo su quel che è stato per avviare una riconciliazione su presente e passato.  
Il Parlamento europeo il 29 ottobre 2007 ha ribadito l’auspicio che la Turchia “ponga fine ad ogni blocco economico o chiusura delle frontiere e si astenga da minacce o attività militari tali da aumentare la tensione con i paesi limitrofi”.
Se negli ultimi tempi qualcuno è riuscito a raccontare in profondità il dramma armeno e a squarciare per la prima volta il velo di vergogna che circonda l’autoaffermazione delle proprie radici armene, è Fethiye Çetin. Nel suo ultimo libro Heranush, mia nonna c’è la storia vera – e autobiografica – di una donna che in punto di morte rivela la sua origine armena. In Francia, con questa opera, Çetin ha vinto anche il Premio Armenia 2006.
Oggi, dunque, è una giornata importante. E, forse, tranne piccole celebrazioni sparse e poco pubblicizzate, dovrebbe far riflettere soprattutto il silenzio sulla ricorrenza, mantenuto dalle istituzioni nazionali e internazionali. Un milione e mezzo di morti non possono essere taciuti e misconosciuti così facilmente.


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