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Tav, quando le parole incendiano gli animi

C’è un diritto di critica, ma non c’è un diritto alla violenza. C’è il diritto a manifestare il dissenso, ma non c’è il diritto a sfasciare. C’è il diritto a proclamare la contrarietà a una opera, ma non c’è il diritto a procurare danni a uomini e a cose.

Banalità. Però dopo quanto è avvenuto nel cantiere della Tav di Chiomonte anche quanto sembra scontato va ricordato, visto che non tutti sono concordi con le banalità.

Ma l’assalto violento non può essere derubricato a mero fatto di cronaca, seppure delinquenziale. Tanto più dopo che sul sito dei No Tav è comparso un post in cui si dice che chi lavora nel cantiere è condannato…

L’Alta velocità, o meglio l’Alta capacità, è ormai divenuto uno di quei dossier che la politica, una parte della politica, ha tramutato in un tema con cui scaldare le folle, vellicare gli animi, distribuire paure, ammannire verità non rivelate.

Ora, però, va notato che i propalatori di idee antagonistiche e i fautori delle manifestazioni di piazza pacifiche, ma fino a un certo punto, rispetto a quanto accaduto (“Potevano e forse volevano uccidere”, ha detto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano) rimangono silenti. Forse alle prese con la compilazione dei rimborsi spese parlamentari.

Tanto, ormai, nei cantieri della Tav il fuoco della rivolta è stato acceso.

Che lo spengano gli altri, se ci riescono.

E’ così, vero?


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