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Tra Chiesa e Stato nessuna ombra. Ma il cattolicesimo politico langue

Mattarella

Se qualcuno si è lasciato prendere la mano e ha ipotizzato una crisi dei rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica a causa della vicenda che ha visto protagonista il “cardinale elettricista”, deve oggi ricredersi. L’intervista rilasciata dal Capo dello Stato Sergio Mattarella ai media vaticani (Osservatore Romano, Radio Vaticana, Vatican News) non è solo un colpaccio giornalistico: è innanzitutto una mossa abilissima.

Non solo affronta con determinazione la grande questione all’ordine del giorno, le elezioni europee e il futuro dell’Unione, ma mette il sigillo su ogni tentativo di incrinare il rapporto tra Chiesa cattolica e Stato italiano. Il singolo gesto profetico di un uomo buono, come il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski, braccio destro del Papa nell’esercizio della carità quotidiana, non può e non deve in alcun modo compromettere le buone relazioni.

Ferme restando le prerogative giudiziarie dello Stato italiano che, conoscendo la trasparenza e la lealtà istituzionale di Papa Francesco, non osiamo immaginare possano essere in alcun modo ostacolate. Ma sono le parole di Sergio Mattarella a non poter essere equivocate. Alla domanda diretta di Andrea Tornielli e Andrea Monda (“Come definirebbe oggi i rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano?”) il presidente risponde con nettezza: “Le relazioni sono ottime sotto ogni profilo e – come recita la Costituzione – ciascuno nel proprio ordine. La collaborazione è piena, in ogni ambito e settore in cui le attività della Santa Sede e quelle dello Stato italiano, si incontrano in sede interna e in sede internazionale”.

Parole interpretabili solo nella direzione di una fattiva collaborazione e di una sintonia profonda fra il Colle e la Cattedra di Pietro. Dunque, se mai ci sarà uno strascico per il caso dell’elemosiniere del Papa (al netto delle legittime polemiche giornalistiche), esso non avrà alcun contraccolpo sulle istituzioni che continueranno ad alimentare, come è già accaduto, un serrato canale di dialogo. Peraltro voluto e ricercato dai due grandi protagonisti che hanno a cuore la pace sociale del nostro Paese.

Ecco, il secondo registro è quello del contributo della Chiesa cattolica italiana alla “coesione della nostra comunità”. Questione anch’essa affrontata da Mattarella con chiarezza: “La presenza della Chiesa italiana nella dimensione culturale, educativa e sociale è motivo di riconoscenza”. Il Capo dello Stato non può e non deve richiamare una responsabilità politica dei credenti, ma non possiamo non sottolineare che essa c’è tutta, anche se ormai interpretata nella chiave dell’indifferentismo valoriale.

Per essere chiari, sono bellissime le due immagini evocate da Mattarella per l’Italia (“comunità di vita”) e per l’Europa (“comunità di valori”) e le condividiamo interamente. Ma i cattolici italiani hanno la responsabilità di contribuire a definire i contorni e le regole della comunità di vita e di indicare i valori guida della comunità europea. E questo lo si fa non solo attraverso la solidarietà concreta, che pure il mondo cattolico in mille forme mette in campo, ma soprattutto attraverso la responsabilità e la scelta politica.

Fa impressione, infatti, leggere sul quotidiano cattolico Avvenire la paginata dedicata agli eurocandidati “cattolici” presenti in tutte (sottolineiamo tutte) le formazioni politiche (dalla destra estrema alla extra sinistra passando per quello che resta del centro) che concorrono al Parlamento europeo. In sostanza mostrando che tutte sarebbero compatibili, nella loro proposta politica, con la Dottrina sociale cristiana; è davvero così? Abbiamo il diritto di dubitarne.

Così come abbiamo il dovere di ricordare che, ad esempio, i padri fondatori dell’Europa erano tre cattolici (De Gasperi, Schuman e Adenaeur) e forse oggi inorridirebbero dinanzi a certi compromessi “valoriali” di tanto cattolicesimo politico. E forse non capirebbero perché i cattolici italiani, al momento del voto, non premino le tradizioni del popolarismo politico di matrice cristiana. E forse andrebbero a cercarne le ragioni, non nell’opportunismo politico o nella forza d’attrazione dei sovranismi e dei populismi, ma nella crisi della fede cristiana sempre meno capace di dialogare con il mondo (tutto il mondo) e di fecondarlo. Sarà paradossale, ma è la crisi del discernimento cristiano (salvo poche e lodevoli eccezioni) la vera e più profonda ragione della rarefazione dei valori cristiani nello spazio pubblico. Che neppure il moto fecondo della solidarietà, purtroppo, può sanare. Curare le ferite, lo sanno bene i medici, non basta per sconfiggere il male. E i cattolici italiani non possono auto relegarsi nelle corsie del pronto soccorso, mentre nelle sale operatorie impazzano gli apprendisti stregoni.



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