Le attese non sembrano essere andate deluse. Sotto la pioggia battente e continua, con una Piazza Duomo gremita e cinta quasi d’assedio dalle forze dell’ordine, l’atto fondatore dell’ “Internazionale sovranista” può dirsi compiuto. Va dato atto a Matteo Salvini, sempre più impelagato apparentemente nella kermesse quotidiana con i Cinque Stelle, di aver dato prova di aver capito che la vera mossa del cavallo, l’unico modo di uscire dallo stallo per una Lega vincente in Patria solo nelle urne ma non nel potere effettivo, era quella di gettare uno sguardo oltre i propri confini.
O, meglio, di stringere un’alleanza con gli altri movimenti che si richiamano a un’altra idea
di Europa rispetto a quella che si incarna oggi nel potere di Bruxelles. La manifestazione di Milano può perciò ben considerarsi, come ha detto Marine Le Pen, “l’atto fondatore di una rivoluzione pacifica e democratica tesa a ridare libertà ai popoli e alle nazioni d’Europa”. Un concetto ribadito da Matteo Salvini che ha usato con molta accortezza non solo le parole, ma anche i nomi dei riferimenti culturali che a suo dire devono essere propri del “sovranismo” europeo.
Dalla citazione di Chesterton ai nomi dei papi Giovanni Paolo II e Benedetto VI, fino al generale Charles De Gaulle e a Margareth Thatcher, il pantheon salviniano delinea un’idea di Europa conservatrice nel senso classico del termine e con una forte impronta cristiano-cattolica. “Non un’Europa di ultradestra ma del buonsenso”, come il leader leghista l’ha definita. Particolarmente interessanti sono stati in quest’ottica sia la connessione stretta istituita da Salvini fra il controllo dell’emigrazione e la necessità di fermare l’avanzata dell’Islam, che a me sembra non era mai avvenuta con tanta chiarezza precedentemente; sia la distinzione netta fra le politiche liberiste e quelle neoliberiste.
Ad un attacco duro alle forze finanziarie che dominano il mondo, e anche quindi l’Unione Europeacome espressione di caste autoreferenziali, non si sono opposte politiche socialiste o welfariste ma proprio quel liberismo del piccolo produttore che era la cifra dell’ideale thatcheriano: una sorta di liberalismo popolare ove il taglio delle tasse, su cui pure il leader leghista ha insistito, è richiesto non per meglio attuare politiche di deregulation a livello globale ma per aiutare quella crescita continua e equilibrata che solo sul ceto medio, oggi appunto tartassato, può basarsi.
Il voler poi mettere al centro dell’Europa diversa a cui si pensa, nel segno degli opportumamente citati Padri fondatori, il Parlamento europeo garantisce dell’assoluta democraticità del niovo assetto immaginato. Un assetto che esalti e non soffochi le diversità fra i popoli europei, ma la canalizzi verso quei comuni valori che distinguono il nostro continenti dagli altri. Salvini ha detto che non accetterà mai che il nostro continente si arrenda all’avanzare di una
“religione per cui la donna vale meno dell’uomo”.
Un’affermazione assolutamente “femminista”, che dimostra ancora una volta come il cleavagedestra-sinistra, con il femminismo collocato nel secondo polo, sia insufficiente per capire la politica dei nostri tempi. La piena adesione alla politica di Donald Trump fuga poi ogni dubbio su presunte alleanze forti con il leader russo Vladimir Putin. Si può essere d’accordo o no con le idee di Salvini, ma a me sembra che, dopo Milano, il suo progetto politico sia diventato più chiaro e coerente. Forse un anno di governo a questo soprattutto è servito.