Ancora una manciata di giorni e, se Dio vuole, sarà finita anche questa. Il paradosso sublime di una campagna elettorale europea senza Europa, senza mordente, persino senza santini. In compenso col whatsapp e coi rosari esibiti come faceva la Madonna di “Like a Prayer” trent’anni fa giusti giusti. Bene ha fatto monsignor Parolin a sconfessare l’uso elettorale del rosario, brandito da Salvini non per esercitare le virtù mariane- tra cui trova spazio il pentimento e l’amore per il prossimo, anche di colore nero, ma per dare puntuale riscontro ai suoi sondaggisti che gli raccomandano di acciuffare così cespugli di voti cattolici. Perché la regola è questa: uno spot tira l’altro e quel che conta è farsi ricordare. Magari digrignando i denti e facendo la faccia truce.
Fu Berlusconi a inventare la forma attuale della comunicazione politica, trasmutando, da sublime venditore, lo spot pubblicitario con cui piazzava i prodotti tra un bikini e un tanga delle procaci ragazze di “Drive in”, nello storytelling della “nuova” politica. E “nuovo” era un topos spartiacque che serviva a vendere la seconda Repubblica in un gioco di contrapposizioni nette con la prima. Allora non c’erano i social network, ma la televisione e i giornali. Oggi non ci sono più i giornali (sì, insomma, ci siamo capiti: la loro forza d’urto con la pubblica opinione vale un decimo di 30 anni fa) e resta la tv e i social.
Nel mondo su sette miliardi e mezzo di viventi tre miliardi e duecentomila attingono l’informazione dai social network ( il 42%). L’anno scorso 34 milioni di italiani (su 60 circa di residenti), pari al 57% del totale, hanno attinto abitualmente informazioni dai social, restando on line per sei ore al giorno. Con questo rudimentale strumento di informazione, che assevera solo il fatto di cui portiamo già dentro il convincimento e che per questo ce li andiamo a cercare, abbiamo attinto notizie sull’Europa, shakerando con qualche pezzo del tiggì che passa il governo. Sarà per questo che in giro non si vede un manifesto e che l’unico aggancio con l’Europa che il grosso pubblico ha avuto in campagna elettorale – concentrata sulle baruffe chiozzotte gialloverdi e sul silenzio mediatico di tutto il resto – non è venuto dalla politica, ma da Mahmoud all’Eurofestival di Tel Aviv. Come andrà a finire lo vedremo presto.
L’aria che tira in Europa è meno brillante per l’endiadi sovran-populista di quanto non sembri in Italia: il voto recente in Svezia e poi in Spagna ha fortemente ridimensionato le formazioni antieuropeiste e l’impiccio creato dal sovranista Strache al governo austriaco di Kurz – mettendo peraltro a nudo rapporti pericolosi e forse non isolati tra circoli finanziari russi e politici europei- non sembra portare acqua a quei mulini. L’Italia politica dei giorni nostri, però, continua a far scuola: non eravamo noi quelli del comico al potere con l’epopea grillina? Prontamente rispondono il popolo ucraino eleggendo Zelensky come presidente e poi gli sloveni, con un altro campione della risata: Marjan Sarec. Che sia una lieve allusione della saggezza popolare a considerare la politica del nostro tempo una cosa da ridere e, se si deve ridere, è bene che la facciano i professionisti? Ai posteri.. eccetera eccetera.