In un anno solo è successo praticamente un terremoto. Le due forze anti-establishment che avevano vinto le elezioni politiche del 4 marzo 1918 e che, per la loro diversità, avevano potuto dar vita solo a una atipica forma di governo “contrattuale”, hanno sostanzialmente confermato, anzi hanno addirittura leggermente aumentato, i propri consensi. Ma con una differenza non da poco: quel rapporto di 2 a 1 che faceva l’anno scorso del Movimento Cinque Stelle il primo partito italiano (32,7% contro il 17,4% della Lega) è stato letteralmente capovolto ed è ora il partito di Matteo Salvini a guidare le danze (34,3% a fronte del 17,03 dei pentastellati). Per quanto previsto dai sondaggisti e anche confermato dalle elezioni amministrative su base locale tenutesi nelle ultime settimane, questo dato è sorprendente per più motivi, che proviamo qui ad elencare.
1. Esso conferma ancora una volta l’estrema volatilità dell’elettorato, che vota ormai non per appartenenza ma secondo gli interessi e gli umori del momento, disposto a togliere o a dare consenso con una facilità postideologica che non è in sé negativa.
2. Il risultato attesta poi che dalla fluidità dell’elettorato non consegue che essi richiedano fluidità anche ai partiti che ne interpretano l’umore. La Lega, al contrario dei Cinque Stelle, si è costruita una identità che, per quanto anch’essa postideologica e non assimilabile del tutto a quella della destra tradizionale, è comunque percepita con chiarezza e linearità (nulla a che vedere con le “capriole” dei Cinque Stelle su varie tematiche). A costo di diventare quasi ripetitivo e monotematico, Salvini ha dato l’impressione di tener ferma la barra, di far seguire con risolutezza i fatti alle promesse. Non si è adattato, cioè, alla vischiosità del nostro sistema. Almeno non apparentemente
3. Risulta poi anche confermato che viviamo in un’epoca di “partiti personalizzati”, ove è necessario che la lotta interna non emerga e le decisioni facciano capo ad un centro unitario e a un leader con forte personalità. Il democraticismo e l’apparente assemblearismo dei Cinque Stelle, seppur mitigati dalla presenza di un “capo politico”, sembrano appartenere a un’altra epoca.
4. È poi evidente che l’immagine di Salvini è solo apparentemente non rassicurante. La sua “rozzezza” è quella di “uno come noi”: una personalità semplice di italiano medio e “incazzato”, non quella di un “fascista” o un “razzista” in pectore. Funziona comunicativamente il fatto che egli si tenga lontano da pratiche e “riti” delle élite, non distraendosi mai dai problemi concreti che interessano alla gente qualunque. In questo senso, anche le politiche migratorie, più che segnalare un suo presunto “fascismo” o “razzismo”, hanno toccato la piaga di un problema serio e sottovalutato: la concorrenza fra poveri che, in un periodo di crisi e di mancanza di lavoro e risorse, si è scatenata soprattutto nelle nostre periferie.
Tutto bene, allora, per Salvini? Certamente no, sia perché i punti deboli della sua politica permangono (ad esempio a livello di strategia e alleanze internazionali), sia perché non è dato sapere come reagiranno i Cinque Stelle al nuovo passo di danza imposto dagli elettori. E a dire il vero è questa la variabile indipendente che, a un Salvini che si è detto disposto a continuare l’esperienza governativa a certe condizioni, potrebbe imporre invece rapide e drastiche decisioni.