Ogni sistema elettorale, si sa, presenta aspetti di utilità e aspetti di inadeguatezza o, addirittura di pericolosità, a seconda di come lo si valuti.
MAGGIORITARIO O PROPORZIONALE?
Il maggioritario con collegio uninominale, per esempio, che è l’ideale nelle realtà politicamente e culturalmente coese (semmai esistono ancora) a tradizione bipartitica, garantisce il rafforzamento dei governi e la dialettica dell’alternanza perché poggia prevalentemente su due attori. Al contrario, il sistema proporzionale, che nella sua versione pura non tollera neanche soglie di sbarramento, si addice a realtà politicamente e culturalmente frammentate (com’è sempre stata l’Italia e come cominciano ad essere un po’ tutti i paesi democratici). Offre la garanzia di una rappresentanza che fotografa perfettamente la situazione politica del momento e, con il voto di preferenza, mette nelle mani dell’elettore la scelta degli eletti nell’ambito di un bouquet di proposte che tende ad essere abbastanza vasto.
IL RUOLO DEI PARTITI
Entrambe le grandi famiglie di sistemi elettorali, peraltro spesso combinate tra loro nelle applicazioni concrete, suppongono, però, l’esistenza di una cosa che non esiste più: il partito politico. Nei collegi uninominali così come nelle liste bloccate, infatti vanno a finire i cooptati dai capi bastone dell’ennesimo brand che ci ostiniamo a chiamare partito ma che è solo un’esile copertura dell’appannaggio personale del leader. Il voto di preferenza in questo contesto dovrebbe aiutare a correggere le storture del sistema, mettendo in comunicazione il popolo con l’eletto. Ma in realtà, mancando il partito, non è più così.
LA POLITICA DEL SELFIE
Cosa può trascinare, allora, al voto di preferenza? Se il candidato è la superstar nazionale, di quelle che vanno in televisione e che ognuno vuole incontrare per un selfie, il voto è un gesto gregario compiuto in massa che risponde ad un bisogno di identificazione con il personaggio più che con il progetto politico. Ma se si tratta di candidati al comune mediamente oscuri di città dove per essere tra i più suffragati si devono mettere insieme centinaia di voti e non migliaia e migliaia, siamo di fronte ad un fenomeno sociologico che va studiato. Tutto questo, naturalmente, al netto di patologie degenerative che interessano le procure della Repubblica e non l’analista politico, e che pure sono presenti nella competizione elettorale ma che rientrano nella fattispecie del voto di scambio se non peggio.
LA SCOMPARSA CULTURALE DEL CETO MEDIO
Scelgo, però, l’interpretazione sociologica e penso che siamo di fronte all’effetto del ridimensionamento dell’asse portante della società democratica, il ceto medio, in via di estinzione, inteso, però, non nella sua accezione “economica” ma essenzialmente culturale. Il ceto medio, che ha fatto grandi e stabili i partiti di massa dell’ultimo novecento, rappresentava la coscienza critica delle città, la dorsale sociale e politica dell’Italia fino a qualche decennio fa, il riferimento anche per altre fasce elettorali. Oggi la rinuncia della piccola e media borghesia, schiacciata e depauperata, a farsi protagonista della politica, ha rappresentato la conquista del campo da parte di un elettorato fluttuante, disposto ad accettare sollecitazioni semplificate e senza complicazioni di nobiltà programmatica o ideale. È tornato, beninteso nell’accezione non giudiziaria, anche il voto per il piccolo scambio, l’assistenza alla pratica e l’aiuto alla navigazione nel moloch burocratico, per il cammino nella giungla della pubblica amministrazione.
SOCIETÀ TECNOLOGICA, BISOGNI PRE-TECNOLOGICI
È come se la massima modernità tecnologica mai raggiunta nella storia del nostro paese, dove il 53% dei cittadini smanetta alacremente ogni giorno sugli smartphone, abbia portato a galla bisogni pre-tecnologici di classi sociali fragili e del tutto escluse dal dibattito pubblico che però si dichiarano più disposte di altre a concedere il proprio consenso a chi sia in grado di offrire non la palingenesi del mondo occidentale, ma l’assistenza per presentare la dichiarazione dei redditi. L’apprendimento politico? Quello lo dà Facebook, nell’attesa di essere ricevuto da chi risolverà il problema di come si fa la domanda per la casa popolare.