“Il segreto non è di per se stesso né bene né male. È bene quando impedisce di sapere quello che è bene, utile, opportuno non si sappia; è male quando impedisce di sapere quello che sarebbe bene, utile, opportuno che si sapesse.
Il mistero, invece, riguarda ciò che, pur essendo bene, utile, opportuno che si sappia, non si riesce a sapere o per difficoltà di accedere alle fonti o per intervento di un potere superiore o anche soltanto per insufficienza delle nostre capacità conoscitive”.
Così Norberto Bobbio riflette sulle differenze tra “segreto” e “mistero”, in un articolo di prima pagina su La Stampa del 13 novembre del 1990. Una riflessione che è stata pubblicata da Einaudi nel libro Democrazia e segreto (2010) e che raccoglie anche l’omonima relazione tenuta ad un convegno a Sassari nel marzo del 1988. Nonostante l’analisi del politologo torinese risalga a molti anni fa, quando l’Italia viveva un momento di delicata transizione della sua democrazia, la caduta della prima Repubblica, alcune sue considerazioni sono più attuali che mai.
Per Bobbio i cosiddetti “poteri invisibili” erano totalmente incompatibili con la concezione del sistema democratico. Per il filosofo, “il governo della democrazia” è “come il governo del potere pubblico in pubblico”.
Dove la nozione di “pubblico” è sia l’opposto della sfera “privata”, sia il contrario di ciò che viene “nascosto”. Perché la democrazia si basa sul principio del controllo da parte delle autorità e soprattutto dei cittadini. E come giudicare il fatto che ci sono fatti, elementi e vicende che rimangono all’oscuro?
Bobbio, da “buon realista e da sano pessimista” – come lo definisce Marco Revelli nell’introduzione a Democrazia e segreto – sapeva che la realtà si presenta in modo ben diverso rispetto ai principi teorici e agli ideali della politica. Sapeva che la totale trasparenza, la totale apertura, è un’utopia difficile da applicare anche nelle democrazie più antiche e stabili.
Ci sarà sempre qualcosa che non può uscire alla luce pubblica perché ci sono circostanze estreme in cui bisogna proteggere la società, anche, a volte, a rischio del congelamento dei principi più elementari della democrazia.
Bobbio, già alla fine degli anni ‘80, manifestava la sua preoccupazione per la pericolosa tendenza delle democrazie contemporanee a sviluppare le istanze tecnologiche al di sopra delle capacità umane.
Una conoscenza complessa, tecnica e di élite, resa facilmente “misteriosa”, oscura per la maggioranza degli italiani, in una pericolosa confusione tra mittenti, destinatari, contesti. Quasi una profezia del caso Wikileaks, dove le nuove tecnologie hanno avuto un ruolo fondamentale (anche però nella facilità con cui si sono divulgate informazioni riservate). Bobbio dedica anche una riflessione ai servizi segreti e al loro funzionamento nella storia italiana.
Denuncia che di segreto in segreto, a causa anche di troppe “deviazioni”, un ente che è stato creato per prevenire o arginare attacchi allo Stato e alla società, abbia lavorato in modo (sbagliato) tale da far correre più rischi del dovuto. “Abbiamo visto che la democrazia esclude in linea di principio il segreto di Stato, ma l’uso del segreto di Stato, attraverso l’istituzione dei servizi segreti di sicurezza, che agiscono in segreto, viene giustificato, tra l’altro come uno strumento necessario per difendere, in ultima istanza, la democrazia… Il serpente si mangia la coda.
Ma il serpente, come abbiamo visto, è sempre stato considerato come l’emblema della prudenza, virtù politica per eccellenza, e perché no, anche dei giuristi, la cui scienza non a caso è stata chiamata iurisprudentia”.