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Vi spiego perché Obama non interverrà in Libia

La Libia è di nuovo sulle prime pagine dei giornali internazionali. La situazione sembra essere fuori controllo: auto che esplodono, palazzi della polizia incendiati. Attentati e tensioni. Persino i marines americani si stanno avvicinando di più “come misura preventiva”, secondo la Casa Bianca.

Era prevedibile che dopo la caduta di Muammar Gheddafi la calma non sarebbe tornata dopo poco tempo. Il regime era riuscito fare scomparire le istituzioni e a centralizzare il potere. Ora la popolazione non ha nulla a che aggrapparsi e le milizie sono allo sbando.

Ma che succederà ora? La Libia non troverà mai pace? In un’intervista con Formiche.net, Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale e autore di “Dopo Gheddafi. Democrazia e petrolio nella nuova Libia” (Fazi, 2012) con Gerardo Pelosi e “L’Italia e l’ascesa di Gheddafi. La cacciata degli italiani, le armi e il petrolio 1969-1974” (Dalai Editore, 2009) spiega cosa sta succedendo, quali sono le prospettive a breve termine e quale dovrebbe essere l’atteggiamento dell’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti per contribuire a ricostruire quello Stato. Un vicino di grande interesse economico, strategico e storico-culturale.

Lunedì è esplosa un auto e tre persone sono morte ma il ministro della salute ha minimizzato l’accaduto dicendo che si trattava semplicemente di un incidente. Ieri invece è stato preso d’assalto un commissariato della polizia e una persona è morta. Cosa sta succedendo in Libia?
In Libia succede che l’autorità centrale non ha il monopolio dell’uso della forza e alcune tra le milizie armate conducono una battaglia politica. Ci sono fazioni salafite e infiltrazioni di jihadisti che in passato hanno combattuto sul fronte iracheno e afgano che mirano a un futuro Stato islamico, e questo sprofonda il Paese nel caos.

È normale che il processo di transizione sia così difficile o c’è qualcosa che non sta andando bene?
Quello della Libia è un processo di transizione particolare. La caduta del regime di Gheddafi ha creato il caos assoluto. La popolazione non ha nulla a cui aggrapparsi perché le istituzioni sono state disintegrate. La forma di Stato creata da Gheddafi gli consentiva di governare senza intermediari. Aveva creato un particolare patto sociale: elargiva prebende (della rendita petrolifera) e in cambio chiedeva alla popolazione di non chiedere rappresentanza. Anche l’esercito è sempre stato debole in Libia perché Gheddafi sapeva che un esercito forte può essere una minaccia per il potere. Questa situazione non si è presentata solo nei 42 anni del regime di Gheddafi ma anche nei 20 anni precedenti. In Libia non c’è una conoscenza sostanziale di cosa è la democrazia.

Gli Stati Uniti hanno spostato i marines alla base di Sigonella. Si tratta di una misura preventiva o c’è il rischio di un nuovo intervento militare?

Non credo che ciò sia finalizzato ad un intervento in Libia. Credo che lo spostamento sia una questione legata essenzialmente al piano interno degli Stati Uniti, alla polemica interna tra democratici e repubblicani. Ci sono indiscrezioni su come Hillary Clinton abbia” ripulito” il documento sull’attentato dell’11 settembre dell’anno scorso a Bengasi nel quale è morto l’ambasciatore Chris Stevens. Tuttavia l’amministrazione americana sapeva benissimo delle infiltrazioni di Al-Qaeda, come riportano anche documenti del Congresso. La Clinton sarà probabilmente il candidato democratico alle elezioni del 2016, l’amministrazione Obama quindi ha preso una decisione più dimostrativa che reale. Le poche centinaia di marines, a livello operativo, avrebbero solamente la capacità di fare evacuare le rappresentanze. Se gli Stati Uniti volessero intervenire in Libia lo potrebbero fare con i droni che hanno a Sigonella o nella nuova base in Mali. Bisogna naturalmente augurarsi che questo non succeda perché potrebbe complicare la soluzione e perché ciò che è necessario è una soluzione di carattere politico e di sicurezza: ricostruire lo stato e rafforzare politicamente l’autorità centrale e il controllo territoriale reale che ha sul paese.

Qual è il ruolo dell’Italia e dell’Europa in questo processo di stabilizzazione?
Ho molta fiducia in quello che potrà fare il ministro degli Esteri Emma Bonino. L’Italia deve recuperare la propria sfera d’azione in alcune aree essenziali, tra queste il Mediterraneo. Negli ultimi mesi la crisi politica interna non ha permesso una proiezione esterna, ci siamo “rinchiusi in noi stessi” e ci siamo dimenticati del resto. La Libia resta il principale fornitore di energia dell’Italia ed è importante per la vicinanza geografica e per il legame storico e culturale. Era il nostro giardino di casa prima dell’intervento della Nato. Ma per fare qualcosa è necessaria l’Europa, un’azione congiunta. L’Italia da sola ha limitate possibilità. Bisogna ritrovare un’azione politica comune con i nostri partner europei e gli Stati Uniti: qui c’è da rifondare uno Stato completamente.



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