Sembrerebbe l’ennesimo tweet impulsivo, anche un po’ creativo, quello del presidente Donald Trump sul ritiro del personale militare russo dal Venezuela. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha negato che Mosca abbia informato Washington sul passo indietro dei militari inviati da Vladimir Putin per addestrare e collaborare con il regime del presidente Nicolás Maduro, contrariamente a quando dichiarato dal presidente americano sul social network il 3 giugno.
MOSCA NEGA IL RITIRO
“Sarà un riferimento indiretto a certe fonti mediatiche, non c’è stato nessun messaggio ufficiale della Russia su questo”, ha ribadito Peskov. Il portavoce invece ha confermato che “effettivamente lì (in Venezuela, ndr.) si trovano specialisti che si occupano della manutenzione del materiale fornito in precedenza”. Poco dopo il tweet di Trump, l’ambasciatore russo a Caracas, Vladimir Zaemskiy, ha negato l’informazione pubblicata dal WSJ il 2 giugno.
LA POSIZIONE DI ROSTEC
Rostec, compagnia statale russa per l’assistenza allo sviluppo, produzione ed esportazione di prodotti industriali di tecnologia avanzata, ha smentito i dati pubblicati dal quotidiano americano The Wall Street Journal sulla presenza di personale militare russo nel territorio venezuelano: “È un processo che si sta sviluppando d’accordo con un piano, non sappiamo cosa voleva dire con ‘ritirato i suoi’. […] Non sappiamo a cosa si riferiscano, è meglio chiederlo agli americani”.
ADDESTRAMENTO RUSSO
Rostec ha negato che ci siano cambiamenti in corso nelle operazioni in Venezuela. Ugualmente, ha chiarito che i numeri pubblicati dal quotidiano americano sono molto esagerati, giacché la presenza del suo personale non supera una decina di impiegati: “In quanto agli specialisti tecnici, arrivano periodicamente al Paese per la manutenzione e sistemazione del materiale acquistato precedentemente. Per esempio, recentemente si è completata la manutenzione tecnica di una flotta di aerei”.
Ma il WSJ sostiene di avere le prove che Rostec ha inviato in Venezuela personale per l’addestramento di truppe e incaricato di chiudere contratti per l’acquisto di armi. La fonte vicina al ministero della Difesa russo avrebbe dichiarato al WSJ che il ritiro dal Venezuela si deve alla mancanza di liquidità del governo di Maduro per pagare i conti.
MOSCA SFRUTTA LA SPAZIO TRA BOLTON E TRUMP
Da Mosca il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, rincara la dose: “Non ho idea da dove gli americani abbiano ricevuto le informazioni […] ma questo solleva serie domande sul livello di competenza dei consiglieri” che circondano Trump. È un attacco velenoso e non troppo velato, diretto contro il capo del Consiglio di Sicurezza nazionale, John Bolton. Il falco repubblicano che guida il più alto organo consiliare della Casa Bianca — quello che informa il presidente e progetta le policy su tutti i temi di politica internazionale, difesa e sicurezza — vive una fase critica del suo potere. Ha visioni molto aggressive e intende il ruolo americano nel mondo in maniera del tutto diversa da quella di Trump. Distanze che si manifestano sull’Iran o sulla Corea del Nord — dove il consigliere morde e il presidente frena — e che sono venute in superficie proprio sul Venezuela. Bolton aveva promesso a Trump un rovesciamento di regime rapido, ma il piano è fallito clamorosamente a inizio maggio. Ora il presidente è nervoso, perché — come ha ammesso lo stesso Bolton — la crisi avrà “tempi lunghi”, mentre la rapidità di soluzione era forse una delle poche ragioni che aveva fatto spostare Trump dal disimpegno predicato verso una posizione più assertiva.
“Ci vuole trascinare in guerra” avrebbe detto Trump ad altri suoi collaboratori a proposito di Bolton, stando a quanto raccontato un mese fa da diversi insider al Washington Post. Bolton potrebbe anche essere a rischio (a maggior ragione se fosse incolpato di aver prodotto la gaffe dell’ultimo tweet sul Venezuela), e quello che diventa via via più evidente è che molti avversari americani sembrano sfruttare la crepa interna alla Casa Bianca per creare circostanze imbarazzanti e indebolire Trump. L’Iran chiama i cattivi consiglieri dello Studio Ovale (ossia: Bolton, il capo di questi) “team B” e li incolpa del mood agguerrito con cui Trump affronta il dossier. Lo stesso fa la Corea del Nord, che costantemente sollecita Trump ad affrancarsi da coloro che stanno stressando troppo la situazione allontanandolo dai negoziati, sua vera anima (qualche giorno fa Trump ha smentito Bolton sull’importanza da dare ad alcuni test missilistici nordcoreani: il consigliere denunciava violazioni all’Onu, il presidente diceva di non essersela presa per i missili). La Russia vede uno spazio e ci si inserisce giocando i propri interessi (magari tenere il falco distante da Trump).