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L’Italia dialoghi con l’Europa e si muova con intelligenza

Diciamo la verità: una Unione fondata su vincoli e parametri non può piacere a un liberale. Alla base di essi c’è infatti una concezione astrattamente razionalistica della politica, basata su piani e programmi, su obiettivi maturati e stabiliti a tavolino e non verificati e calibrati nel concreto della prassi. Ma piace forse ancor meno il fatto che spesso nel passato, in Europa, la politica, uscita dalla finestra, sia poi rientrata dalla porta. Perché questo è avvenuto tutte le volte che la Commissione europea ha permesso sforamenti o deroghe ai Paesi forti.

IL DIALOGO CON L’UE

Noi, purtroppo, col nostro debito pubblico, e soprattutto con l’atteggiamento psicologico di sudditanza che abbiamo negli anni maturato nei confronti di Bruxelles, non possiamo considerarci un Paese forte. Che fare, allora, in previsione di una Legge di Bilancio che proprio in linea con quanto Bruxelles ci chiede non è? E che fare soprattutto alla luce della lettera appena speditaci da Bruxelles e che, con un’assurda volontà di punirci, mette su una secca procedura d’infrazione?

LA MORSA DEI VINCOLI

Nella conferenza stampa dell’altro giorno, una sorta di “discorso alla Nazione”, il presidente del Consiglio, avocando a sé il ruolo di interlocutore primo con l’Europa, ha affermato che “i vincoli vanno rispettati fino a quando non si riesce a cambiarli”. Al che il vicepremier Matteo Salvini ha ribattuto che gli elettori, votando Lega, avevano ben espresso la loro idea sulla Europa e su quei vincoli. In linea di principio, il premier ha ragione: pacta sunt servanda. Ma il problema è che quei vincoli stanno stringendo in una morsa l’economia italiana e che in Europa non sembrano esserci allo stato attuale le condizioni per cambiare né i parametri di riferimento né i rapporti di forza fra gli Stati a noi molto sfavorevoli.

ITALEXIT: NON CONVIENE A NESSUNO

Ovviamente, non ci conviene nemmeno un Italexit, ammesso e non concesso che l’uscita fosse più semplice di quanto il caso britannico ha mostrato che sia. I mercati, con ogni probabilità, non essendo la Gran Bretagna, ci punirebbero duramente. Sembra una situazione di stallo, senza vie di uscita. Tuttavia in politica, e soprattutto in un sistema complesso come è quello attuale europeo, non bisogna mai dire mai. Io credo che il vicolo stretto lungo cui muoversi ci sia, anche in considerazione del fatto che i nuovi vertici europei che saranno delineati nelle prossime settimane saranno pure “europeisti” e non “sovranisti”, come i commentatori non si stancano di ripetere, ma marcheranno sicuramente una discontinuità rispetto alla governance attuale. E chiunque, in questo momento, ha bisogno dei nostri voti e della nostra non ostilità.

CHE FARE?

Ecco, bisognerebbe, a mio avviso, da una parte aprire un negoziato con Bruxelles, ovviamente concedendo qualcosa, dall’altra incunearsi con intelligenza nel gioco di allineamenti e disallineamenti che si svolgerà nelle prossime settimane sulle nuove nomine. Sarebbe anche opportuno calibrare più di più su crescita e investimenti la spesa sforante. Per fare questo ci vorrebbe però un governo coeso, come Conte ha giustamente cercato di far capire alle forze della sua maggioranza, e una diplomazia estera agguerrita. Forse, questo secondo obiettivo è oggi più difficile del primo, ma la speranza, in politica come nella vita, è sempre l’ultima a morire.

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