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Non solo Fca-Renault, con Alitalia in campo il neo statalismo in salsa gialloverde. Parla Mingardi (Ibl)

Il mancato matrimonio fra Fca-Renault? “Il governo francese ha fatto marcia indietro per paura di ripensare alcuni siti produttivi”. Macron? “Un presidente relativamente debole” e il sovranismo? “è una sorta di ‘luddismo commerciale’ che produce danni per tutti: lo pagheremo, ciascuno di noi, andando al supermercato, al concessionario di auto”. È quanto spiega in quest’intervista a Formiche.net Alberto Mingardi, tra i fondatori ed attualmente direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni. Ha pubblicato recentemente un libro coraggioso “La verità, vi prego, sul neoliberismo” (edizioni Marsilio) in cui spiega come le politiche di liberalizzazione e di apertura dei mercati siano state una rarità, con le sole eccezioni di due giganti del secolo scorso, Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Ma attenzione, ci spiega, la tentazione neo statalista non è solo francese, basta guardare come il governo gialloverde vuole salvare Alitalia che “andava lasciata al suo destino: qualcuno ne avrebbe acquisito i fattori produttivi e oggi sarebbe un capitolo chiuso”. “Non è questione di difendere il mercato – ammonisce Mingardi – è questione di difendere il buon senso, quel buon senso che ci suggerisce che lo Stato non può fare tutto, specie uno Stato notoriamente inefficiente come il nostro”.

Che idea si è fatta della vicenda Fca-Renault?

Bisognerebbe conoscere a fondo il settore dell’automotive per comprendere la logica industriale di questa fusione. Posso solo dire che è naturale che, in un merger, si miri a fare efficienza: questo significa inevitabilmente ripensare alcuni siti produttivi. Mi pare che al governo francese ciò sia parso politicamente difficilissimo da gestire e che per questo si sia fatto marcia indietro. Magari in questo modo si sono tutelati, nel breve, i livelli occupazionali ma, nel medio periodo, si sono perse importanti opportunità di crescita e sviluppo.

Macron si è presentato come l’alfiere dell’europeismo ma, poi, alla fine prevale sempre “l’interesse nazionale”, insomma si fa presto a dire libero mercato…

Non chiamiamolo “interesse nazionale”. Prevale semplicemente l’interesse della classe politica pro tempore, che in questo caso coincide con il fatto di non aprire un altro fronte che potrebbe danneggiare un Presidente oggi in posizione relativamente debole. Detto questo, stiamo attenti a non paragonare questa vicenda ad altri casi comunque molto diversi: lo Stato è azionista, la quota azionaria Macron l’ha ereditata e non acquistata, non c’è stato un passo in avanti dello Stato padrone, semmai è mancata la determinazione per fare un passo indietro.

Ma condivide l’analisi che il sovranismo è un pericolo per il business?

Si. La globalizzazione non è né un destino né un fatto compiuto, ma è indubbiamente vero che negli ultimi anni moltissime produzioni si sono “internazionalizzate”. Lo scambio internazionale non avviene soltanto fra beni di consumo, che anzi ne sono una frazione modesta. Esso riguarda in primo luogo le “cose che servono a fare altre cose”: materie prime da un lato, beni di ordine superiore dall’altro, che consentono di realizzare poi i prodotti che tutti possiamo acquistare.

E quindi?

Parlare di prodotti “nazionali” è molto spesso semplicemente anacronistico. Ogni nuova barriera, ogni dazio, non può che risultare in una perdita di efficienza: si finisce per usare fattori produttivi che non si sarebbero utilizzati, se si fosse potuto continuare a guardare altrove. Il sovranismo è una sorta di “luddismo commerciale” che produce danni per tutti: lo pagheremo, ciascuno di noi, andando al supermercato, al concessionario di auto, eccetera.

De Gaulle diceva: “Gli Stati non hanno amici, ma solo interessi”. Non le sembra che questo sia sempre più vero nei rapporti di forza tra Francia e Italia? A fronte di un predominio francese – dalla moda all’agroindustria – non c’è stata possibilità da parte nostra di varcare le Alpi… 

Peggio per loro. Se la Francia vuol costringere i suoi imprenditori a utilizzare i fattori produttivi peggio di quanto potrebbero fare con un’economia più aperta, non possiamo che dispiacerci per i suoi cittadini. Per il resto, non capisco bene perché dovremmo essere felici quando i nostri imprenditori sono “predatori” e dispiacerci quando sono “prede”. Le stesse persone che ragionano così spesse volte parlano ancora in termini di classe. I lavoratori italiani traggono un piacere particolare dal lavorare per un padrone italiano? Quando le nostre aziende diventano “prede”, stiamo di fatto ricevendo capitali da altri Paesi: qualcuno sceglie di investirli in Italia, anziché altrove. E’ un successo del Paese, non il suo contrario.

Anche in casa nostra c’è tuttavia la tentazione neostatalista, basti guardare a come si vuole salvare Alitalia…

Alitalia andava lasciata al suo destino: qualcuno ne avrebbe acquisito i fattori produttivi e oggi sarebbe un capitolo chiuso. Invece i governi del centro-sinistra si sono inventati il prestito-ponte, che come tutte le iniziative simili da prestito è diventato una donazione, e oggi tocca ai giallo-verdi deciderne il futuro. È una storia veramente surreale. Il più accanito degli statalisti non può sostenere, in buona fede, che lo Stato sappia come gestire una compagnia aerea. Tutta la sua storia sta lì a dimostrare il contrario. Perché le cose dovrebbero andare diversamente questa volta? Perché ci si ostina a mettere sul groppone di milioni di contribuenti un vettore che, a conti fatti, ne trasporta molti di meno delle compagnie low cost?

Come se ne esce? Quale è secondo lei la giusta ricetta per il mercato?

La ricetta è semplice: lo Stato si occupi di altro. In Italia c’è una emergenza sicurezza, alla quale si risponde con slogan e boutade. Perché le grandi menti di questo governo non si applicano al tema? Le stesse persone che parlano diffusamente dei problemi della giustizia non avanzano una sola proposta per risolverli. La fornitura di servizi monopolizzati dallo Stato e di grande importanza, come la sanità, presenta grandi e crescenti problemi. Perché lo Stato non si occupa del suo core business, anziché dilettarsi di questioni come Alitalia? Sicuramente non aiuta il fatto che non esiste una sola voce in Parlamento, neanche all’opposizione, che dica queste cose. Non è questione di difendere il mercato: è questione di difendere il buon senso, quel buon senso che ci suggerisce che lo Stato non può fare tutto, specie uno Stato notoriamente inefficiente come il nostro, del quale gli italiani passano la giornata a lamentarsi.


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