Ritengo che quello attuale sia il momento giusto per sostenere e alimentare un dibattito in grado di coniugare l’esigenza di una riduzione delle spese militari dettata dalla crisi fiscale dello stato, con la necessità di uno strumento militare più snello ed efficiente sul piano operativo e decisionale, nonché con la ricerca di una maggiore integrazione europea nel settore della difesa.
Si tratta di questioni ad elevato impatto strategico, in parte già affrontate (e parzialmente risolte) da altri paesi dell’Unione europea, dal Regno Unito alla Francia e alla Germania. Oggi è tempo anche per l’Italia di affrontare con coraggio, perizia e capacità tecnica, nonché con una visione prospettica di sistema, la soluzione dei problemi ancora sul campo.
Un processo riformatore dello strumento militare nazionale deve essere necessariamente guidato dalla politica, e in particolare dalle istituzioni parlamentari e governative, come peraltro già avvenuto in Francia e Germania con la pubblicazione in quei paesi di un Libro Bianco della Difesa.
Mi auguro che l’Italia, dal canto suo, predisponga al riguardo una sessione parlamentare straordinaria ad hoc, procedendo alla costituzione di un’agile commissione bicamerale che, in un tempo definito (durata massima sei mesi), sia in grado di elaborare, secondo uno spirito condiviso ed in stretto rapporto con il governo, le linee-guida del nuovo modello nazionale di difesa.
È urgente procedere in questa direzione, non c’è più tempo da perdere. Anche perché, nella fase attuale, un disegno di riforma in ambito Difesa è senz’altro coerente con il carattere di forte impegno nazionale impresso dal Governo Monti alla vita politica e amministrativa del Paese. Un approccio il più possibile costruttivo, condiviso e sereno su questi temi conferirebbe di fatto oggettività, autorevolezza e maggiori contenuti di verità al tentativo riformatore, nella consapevolezza che un progetto organico di così ampia portata non può essere realizzato da una sola parte politica ma necessita di un’ampia convergenza parlamentare.
Perché è irrinunciabile perseguire con vigore e rigore questa riforma? Soprattutto per ragioni oggettive di bilancio e per la congiuntura internazionale di segno negativo di non breve periodo, che non lasciano dubbi rispetto alla strada da battere.
La traiettoria è obbligata e non vi è la minima possibilità di applicare politiche espansive delle spese della difesa o dei programmi dell’industria militare, o di introdurre semplici palliativi di regolazione amministrativo-contabile. Persino gli Stati Uniti, paese leader a livello planetario in campo militare, stanno procedendo, per motivi di bilancio, ad una drastica contrazione della spesa, con un ridimensionamento dei fondi destinati alla Difesa per almeno 450 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni.
Non vi sono solo ragioni economiche e di bilancio alla base dell’esigenza di riforma, ma anche il fatto oggettivo che l’attuale modello è insostenibile sul piano organizzativo. Un esempio su tutti: il 62% del bilancio della nostra difesa è destinato al pagamento degli stipendi.
Credo che tutti concordino che non vi può essere nell’attuale contesto globale una organizzazione complessa, una tecnostruttura specialistica che destina i due terzi delle proprie risorse al monte-stipendi, drenando risorse all’ammodernamento dei mezzi e alla formazione/addestramento del personale. Operando una traslazione concettuale di un concetto marxiano, continuando ad operare secondo lo schema attuale, siamo tecnicamente vicini ad un meccanismo di riproduzione semplice: si spende e si investe per il mantenimento puro e semplice della forza lavoro, in definitiva per il perseguimento di obiettivi conservativi e manutentivi della struttura militare, mai per scopi espansivi o di massimizzazione dell’efficienza operativa e decisionale a tutti i livelli.
Secondo il Rapporto Difesa 2011 della Fondazione ICSA, è possibile pensare ad una rimodulazione degli investimenti per la Difesa ed una riduzione della consistenza complessiva delle forze armate, scendendo ad un numero di effettivi compreso tra 150 e 165.000 unità.
In assenza di interventi mirati e concreti siamo quindi ad un passo dal collasso operativo di sistema, in un comparto come quello della difesa militare in cui una riforma adeguata richiederebbe almeno 10 anni di lavoro.
Una riforma del modello di difesa sarebbe anche in linea con la sensibilità odierna dell’opinione pubblica italiana che ritiene giusto, in una fase di riduzione generalizzata della spesa pubblica, un significativo dimagrimento delle principali macrostrutture del paese.
L’obiettivo della politica deve essere quello di affrontare con decisione e prontezza il nodo della razionalizzazione organizzativa, alla ricerca di un modello più agile e snello della struttura e dell’operatività tecnico-decisionale delle forze armate.
Il tutto andrà contestualizzato rispetto ai compiti assunti dall’Italia negli ultimi 20 anni all’interno dei sistemi di alleanza internazionali (dall’Unione europea alla NATO) soprattutto per quanto riguarda le missioni di pace e di ricostruzione democratica di alcuni paesi del globo, nella consapevolezza che non è possibile venir meno ai nostri compiti e alle nostre ambizioni. Il modello a cui pervenire dovrà essere quindi compatibile con i compiti, le funzioni ed il ruolo del nostro Paese, ormai essenziale ai fini del mantenimento degli equilibri e degli assetti geostrategici globali.
La qualità e la dimensione dell’impegno militare italiano ed il processo di ridefinizione del nostro strumento militare dovranno quindi tenere conto delle strategie elaborate in ambito internazionale ed in questo senso il rapporto tra l’Italia e l’Europa è imprescindibile.
In tal senso, il rapporto dell’Italia con l’Europa deve mirare a consolidare una identità politica e istituzionale che proprio nella edificazione di un modello comune di difesa può rinvenire uno dei suoi capisaldi fondativi.
L’idea d’Europa non può ridursi quindi alla sola unificazione economica e monetaria, ma deve anche estendersi all’implementazione, tra le altre cose, del modello integrato di difesa unica europea. Va superata la logica degli accordi bilaterali (si pensi all’”entente franco-britannico” sulla difesa del 2010 oppure al recente rafforzamento della cooperazione operativa tra le forze armate italiane e tedesche nel campo delle tecnologie militari aerospaziali, navali e terrestri), perseguita spesso per eccesso di attivismo o di protagonismo di questo o quel leader politico nazionali.
È oggi più che mai necessario rilanciare l’idea europea costruendo un gruppo di testa (composto da Francia, Germania, Spagna, Italia e Regno Unito) in grado di guidare il processo di ridefinizione del modello continentale di difesa.
Tale progetto sarebbe oggi difficilmente implementabile dalla Ue a 27, per via dell’oggettiva difficoltà di raggiungere in tempi brevi un accordo di sistema tra paesi non del tutto omogenei e con interessi non sempre convergenti. Ecco perché è necessario porre alla guida del processo riformatore un gruppo ristretto di nazioni. La cooperazione rafforzata trainata da un gruppo di nazioni leader faciliterebbe il passaggio da un modello di forza bilanciata ad un modello di forza integrata a livello europeo.
L’obiettivo strategico è puntare a Forze Armate integrate ed integrabili con quelle di partner ed alleati, superando l’ambizione utopistica di realizzare uno strumento militare bilanciato, con capacità in ogni settore, sia pure quantitativamente minima, inseguendo il sogno di poter condurre operazioni militari indipendenti. L’integrazione comporterebbe sì una perdita di autonomia decisionale, ma ogni paese Ue finirebbe con l’assicurare un apporto unico, significativo e qualificato rispetto ai propri ambiti di intervento e di specializzazione funzionale.
Il nuovo strumento militare integrato Ue sarebbe sicuramente più contenuto sul piano dimensionale, più efficiente e specializzato su quello operativo, più innovativo e soprattutto più gestibile, in termini di costi, all’interno dei singoli contesti nazionali. I programmi di armamento nazionali sarebbero commisurati all’adeguamento ed alle necessità della nuova struttura integrata Ue.
In questa maniera, a livello interno, si potrebbe arrivare alla conclusione della stagione dei tagli lineari ed indiscriminati della spesa per la Difesa, tagliando soltanto dove si annidano gli sprechi, evitando duplicazioni inutili e semplificando le strutture di gestione e di comando. Per questa via si accelererebbe anche il processo di integrazione, da più parti auspicato, tra le diverse componenti delle Forze Armate (Esercito, Marina e Aeronautica).
La nuova fase di razionalizzazione della spesa si distinguerà dalla precedente soprattutto perché dovrà essere improntata essenzialmente a criteri di efficienza, efficacia ed utilità degli investimenti.
L’integrazione tra le diverse esigenze della Difesa, dell’industria militare e del sistema-Paese passa necessariamente attraverso i principi in precedenza indicati. L’Italia non può ritrarsi dinanzi alle necessità di riforma delle sue forze armate, soprattutto nel contesto attuale di trasformazione degli scenari globali, che hanno ormai imposto ovunque la ridefinizione dei paradigmi nazionali di difesa.
Marco Minniti, Senatore del Pd e Presidente della Fondazione ICSA (Intelligence culture and Strategic Analysis)