Sostengo da tempo, anche da queste colonne, una tesi che, pur avendo illustrissimi riferimenti dottrinari nel campo della psicologia cognitiva e sociale, non è ancora accettata come chiave di lettura principale per leggere i comportamenti politici. Mi riferisco, naturalmente, alla psicologia politica. Le vecchie ermeneutiche proposte dalla scienza, da Machiavelli a Hobbes, da Weber a Gaetano Mosca- che pure non ignoravano il peso degli impulsi primigeni nell’agire del politico- oggi non funzionano più per interpretare una realtà che sembra muoversi senza orizzonti, senza visioni, senza chiavi ideologiche e, talvolta, persino senza la logica basica del “cui prodest”. Dunque per capire occorre un aiuto dalle scienze che studiano la psiche.
L’ESEMPIO DEL LEADER DELLA LEGA
Entriamo nel concreto e prendiamo il caso Salvini, astenendoci da giudizi politici. Il leader leghista, che dilaga da un anno nei media più del Grande Fratello di Oceania nel romanzo di Orwell, va al voto europeo e vede confermato il suo stato di salute eccellente- forse il suo Zenit assoluto prima dell’inesorabile curvatura, in un tempo in cui i cicli politici sono brevissimi col 34% certificato dagli elettori. In concreto ha ribaltato il rapporto con i suoi scomodi partner gialli, che avevano portato in Parlamento lo scorso anno oltre il 35% degli eletti, a fronte dello scarso 20% della Lega. E dunque vive la condizione paradossale di convivere con un partner spesso riottoso ma, soprattutto, numericamente sovradimensionato in parlamento, avendo la certezza di doppiare addirittura la sua rappresentanza se si andasse al voto subito.
Ma c’è un di più: dopo un anno di protagonismo assoluto nei media agitando sostanzialmente sempre gli stessi leitmotiv, l’immigrazione e quello che gli psicologi chiamano l’appello alla paura, è chiamato ora ad intestarsi una legge di bilancio particolarmente aspra, in una condizione di isolamento totale in Europa (e con una procedura d’infrazione dolorosa in coming), avendo di fronte complicatissime e quasi impossibili missioni, tipo varare una legge di stabilità decente senza imporre una patrimoniale, senza far aumentare l’Iva, senza cancellare i provvedimenti bandiera-reddito di cittadinanza e quota cento senza aggiungere debito pubblico a quello, biblico, ormai accumulato, e senza far salire la febbre dello spread.
L’analista politico che ragionasse secondo le usate chiavi direbbe: ecco, adesso Salvini trova una ragione qualsiasi tra le tante che agitano la dialettica conflittuale dei due partner di governo in conflitto elettorale permanente ed effettivo, e dichiara col suo volto ispirato, da clone di Fra’ Tuck, il monaco manesco amico di Robin Hood, avvezzo a maneggiare bastoni e rosari: “Non ci sono più le condizioni per governare insieme. Andiamo al voto subito, a settembre e chi vince farà la legge di stabilità”.
PRESUNZIONE, ARROGANZA, ORGOGLIO
Un disegno che punterebbe su un’espansione ancora più larga, in grado di tentare con qualche possibilità di successo (sulla carta) l’autosufficienza, guardando con occhio goloso alle spoglie di Forza Italia e certificando l’anschluss, di fatto già compiuto, dei Fratelli e delle Sorelle d’Italia. Sarebbe un comportamento logico, sì, ma vecchio e superato. Perché non tiene conto delle scoperte più recenti fatte dalla psicoanalisi. Lord David Owen ha descritto in letteratura la sindrome di Hubris (dal greco: presunzione, arroganza, orgoglio) Lord David Owen ha descritto in letteratura la sindrome di Hubris (dal greco: presunzione, arroganza, orgoglio) che tende a colpire gli uomini politici in un contesto in cui, all’abituale cura del super-io che si accompagna con qualche dose di narcisismo nell’attore politico, si aggiunge la maniacale cura dell’immagine rimbalzata dai media e, in particolare, esaltata dai social.
Lord Owen indica almeno 14 sintomi che si accompagnano alla sindrome che, però, per poter essere diagnosticata si accontenta di solo tre o quattro: fiducia eccessiva dei propri giudizi, scarsissima considerazione per i consigli e le critiche, mancanza di senso dell’umorismo, l’agire non per compiere azioni utili per il bene comune, ma solo per rafforzare la propria immagine, l’incapacità di assumere decisioni slegate da questo asfittico circuito autoreferenziale. Non cosa lo studioso inglese penserebbe del leader della Lega. Di certo ha aperto un nuovo file per capire la politica. A proposito: non ho letto di rimedi a questa sindrome.