Che i cattolici debbano restare uniti, e che la figura del Papa rappresenti l’elemento della loro coesione e unità, è nella ragione sociale della Casa madre. Che essi siano però persone integrali, cioè che abbiano una identità che travalica l’aspetto più propriamente religioso, e che abbiano pertanto diverse sensibilità, è un dato di fatto. Nella identità di ognuno di loro anche il peso relativo della religione è differente: ci sono cattolici “tiepidi” e cattolici “ferventi”. Così come ci sono cattolici di “destra” e di “sinistra”. È positivo: l’unità che nasce da disarmonie composte è sempre la migliore, ed è segno di vitalità.
I CATTOLICI “TIEPIDI”
Oggi, col processo di secolarizzazione, i “tiepidi” sono sicuramente la maggioranza fra chi si definisce cattolico. Essi si sentono liberi persino di interpretare a modo loro quelli che un tempo erano considerati, e forse sono ancora, dogmi (ad esempio in materia di sessualità e affini). Teoricamente però anche i cattolici “ferventi” devono avere possibilità di dire la loro in società e nell’agone politico, cosa che a certa stampa italiana non è sembrato fino a ieri lecito fare. Non saremo certo noi a difendere il principio di laicità, con la sua rigida e astratta separazione fra una sfera privata e una pubblica. Indubitabile è però che questo principio è stato usato da molti come una clava nel dibattito pubblico italiano quando a capo della Chiesa c’era un Papa “tradizionalista” come Benedetto XVI, così come è stato improvvisamente accantonato oggi che la Chiesa è guidata da un pontefice molto aperto, diciamo così, al mondo moderno.
LE NON SIMPATIE DEL PAPA
Francesco ha certamente la libertà di intervenire nella politica italiana, che sia consapevole o meno di farlo poco importa, ma parimenti deve accettare, insieme al gruppo dirigente che lo affianca, che i cattolici poi anche in politica seguano una loro strada. Ora, a me sembra che proprio questo è quello che oggi tendono a fare molti di loro, fotografati nei loro atteggiamenti politici da un sondaggio pubblicato da Ilvo Diamanti ieri su “La Repubblica”. Nonostante che il Papa abbia mostrato in più occasioni di non avere in simpatia Matteo Salvini e abbia contrastato le sue politiche con parole e atti, più di un cattolico su quattro ha espresso comunque l’intenzione di votarlo. È un dato importante che, a mio avviso, imporrebbe, da parte del mondo ecclesiastico, una seria autoanalisi, anche sulla bontà della strada seguita, nonché uno sforzo di comprensione delle ragione per cui tanti cattolici non accettino nemmeno in politica i “suggerimenti” papali.
I FEDELI STACCATI
Nell’intervista al cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, pubblicata oggi sempre sul quotidiano romano, di tutto questo non c’è traccia: non si fa, e nemmeno si imposta, un esame di coscienza, né tanto meno una autocritica, na si scarica la responsabilità sugli altri, e in primis, , diciamolo senza ipocrisia, su chi come il leader leghista ha l’unico torto di fare (e bene) il suo mestiere: fare politica intercettando gli umori presenti nell’elettorato. Può anche essere, come dice Bassetti, che “cercare di staccare i fedeli dai vescovi e soprattutto dal Papa è una manovra sbagliata e controproducente”. Fatto sta che quei fedeli (almeno su certi punti) dai vescovi e dal Papa si sono già da tempo staccati. Sul perché di questo bisognerebbe che la Chiesa si interrogasse con più profondità.