“Prima gli italiani, meglio se cattolici…”. Più che un brutto sogno, un vero incubo per papa Francesco, per i vescovi italiani e per tanti semplici credenti. Cioè che un brutto giorno un leader politico disinvolto dica l’indicibile e associ la preferenza da attribuire alla nazionalità con la fede cristiana. Che si spinga ad affermare che l’identità italiana, in opposizione alle insidie della globalizzazione, risieda principalmente, se non addirittura esclusivamente, nella condizione di fede. Una prospettiva abbandonata da tempo, non per cessione alla modernità laicista, ma per rispetto dell’identità umana portatrice di una ricchezza plurale. Di tutto questo la fede cristiana ha saputo prendere atto nel corso dei secoli e soprattutto con il Concilio Ecumenico Vaticano II.
Non sorprende, quindi che papa Francesco continui a chiedere accoglienza e integrazione per i migranti, e solleciti a non farsi scudo della religione e dei suoi simboli per chiudere, allo stesso tempo, le porte del cuore e le frontiere nazionali. Ma ciò che stupisce è che un leader politico italiano possa, nel volgere di pochi minuti, prendersi la briga di rispondere al papa come se si trattasse di un qualunque competitor politico. Quanto è accaduto rasenta la surrealtà.
Se Francesco dice che i porti italiani sono chiusi ai migranti mentre sono aperti alle navi cariche di armi, Matteo Salvini risponde così: “Ci tengo a ricordare, dato che ancora oggi c’è stata l’esortazione del Santo Padre a salvare vite, che noi questo stiamo facendo”. Una difesa repentina e non richiesta. Con l’aperta intenzione di ribadire la propria posizione di fermezza: i porti chiusi e il minor numero di partenze dalle coste africane sono, per il ministro dell’Interno, la garanzia di meno vittime in mare. Ovviamente questa tragica contabilità è del tutto aleatoria e non siamo assolutamente in grado di affermare che le cose stiano davvero così. Gli sbarchi sono certamente diminuiti e questo successo ha fruttato voti e consensi. Soprattutto al Nord, ma con prospettive di sfondamento in tutto il Paese.
Sarebbe facile liquidare il tutto come una sgrammaticatura istituzionale del ministro dell’Interno (chissà cosa ne pensano il premier Conte e il Presidente Mattarella…), ma la realtà suggerisce altro. Ad esempio, ritornano le parole inquietanti affidate ieri dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, al quotidiano Repubblica, a commento del sondaggio che ha rivelato la forte presenza di voto dei cattolici a favore della Lega. Dopo aver invitato a “distinguere tra tradizione culturale, religione e fede”, il cardinale ha voluto precisare: “Cercare di staccare i fedeli dai vescovi e soprattutto dal papa è una manovra sbagliata e controproducente. L’unità della Chiesa è qualcosa di profondo e radicato: rifiuto l’idea che la Chiesa possa essere portata sul piano della battaglia partitica, quasi come pastori fossimo preoccupati di schierarci o con gli uni piuttosto o con gli altri. La storia ci insegna che non è mai stata una buona scelta quella di rincorrere i potenti, magari confidando di ottenerne consensi e privilegi. La Chiesa italiana è una presenza a servizio di tutti”. Decifriamo: la Chiesa non insegue la Lega e si attende che Salvini non esageri nella sua rincorsa al voto dei cattolici, non solo non agitando in pubblico i simboli cristiani, ma soprattutto non forzando la mano nella propaganda sui migranti, sulla sicurezza e sulle paure. Questi i temi sui quali Salvini fa leva per sfondare definitivamente nel mondo di tradizione cattolica e che oggi lo premia nelle urne insieme a tanti altri italiani. Una leva che lo fa avversario di papa Francesco e lo promuove a leader di un nuovo nazionalismo a trazione cattolica. Ma c’è da chiedersi se, nel progetto di costruzione di un nuovo partito-nazione, il leader leghista abbia soppesato bene tutti i rischi.
Salvini, da navigatore della politica, dovrebbe ormai sapere che il voto dei cattolici (una volta lasciato l’approdo sicuro della Democrazia Cristiana) non è più un voto “fedele”. Anzi, è altamente volatile. Quanto se non più, di quello di tutti gli altri italiani. Ieri ha premiato Prodi e Berlusconi, a fasi alterne, e poi chissà. Quindi, meglio sarebbe raffreddare gli animi, sempre che i suggeritori infuocati di Salvini (vedi il sempiterno Steve Bannon) non lo vogliano spingere dove nessuno si è mai spinto dalla caduta dei totalitarismi: sfruttare la tradizione religiosa come cemento di un nuovo nazionalismo. Quel prima gli italiani, meglio se cattolici, che ci dà i brividi.