A meno di tre settimane dal suo insediamento, non è un compito facile offrire una valutazione dell’operato del governo Letta. Si intrecciano due circostanze contrastanti: da un lato, i cattivi auspici sotto cui nasce il “governissimo”, che presto diventa un nuovo simbolo del celebre “inciucio” tra centrosinistra e centrodestra. Circostanze che rendono praticamente impossibile per il Presidente del Consiglio realizzare scelte di piena soddisfazione per la base del suo partito (a partire dalla costituzione della squadra di governo). Dall’altra, quella tradizione invalsa in tutte le democrazie mediali, per cui i primi mesi di governo corrispondono, o dovrebbero corrispondere, a una tregua, a una “luna di miele” tra i due poteri a volte opposti della politica e dei media che consenta alla prima di impostare il proprio lavoro senza eccessiva copertura e soprattutto eccessiva critica da parte dei secondi.
Come procedere, dunque, a “dare i voti” all’attuale Presidente del Consiglio e ai suoi Ministri? Una via sufficientemente semplice da percorrere può essere quella di testare la loro capacità di entrare nell’agenda dei media mainstream. Nella misura in cui i giornali, per quanto in crisi, continuano, se non a “fare opinione”, almeno a rappresentare uno specchio nel quale la politica si riflette e si presenta ai cittadini (pensiamo a come ogni dibattito mattutino in televisione, ma anche sui social network sites, si apra all’insegna della rassegna stampa), un’analisi di questo genere può fornire spunti utili, anche a partire da un “vecchissimo” medium, per tastare il polso della discussione pubblica. All’interno dei giornali, cosa analizzare? È assodato che l’elemento più ricco di significati di un articolo è il titolo: per quanto sia spesso opera di un redattore che non è lo stesso autore del testo, esso esprime il senso, la cornice nella quale il contenuto viene inserito; e nell’ottica di identificare quanti sassi siano stati buttati nello stagno dei media, e quanto ampie siano state le onde che hanno generato nell’impatto, il numero di titoli dedicato ad ogni Ministro, e le parole-chiave in essi contenute, costituiscono una buona base per una riflessione iniziale.
Le parole di Letta e di Alfano
Nel periodo compreso tra il 28 aprile, data di insediamento del governo, e il 16 maggio 2013, la stragrande maggioranza dei titoli è dedicata ovviamente al Presidente del Consiglio. Ovviamente, Letta viene chiamato in causa sia a tiolo personale sia per identificare il governo che è chiamato a presiedere, ma i 517 articoli in cui compare il suo nome sono certamente il primo dato da cui partire.
Tenendo conto del vizio di forma che la sproporzione porta con sé, è interessante, in prima battuta, mettere a confronto le parole-chiave dei titoli “lettiani” con quelle dei 74 articoli che contengono al loro interno la parola “Alfano”. In una strategia tutta politica, figlia di accordi interni che oggettivamente richiamano quelli tipici della cosiddetta Prima Repubblica, la figura del Vicepresidente del Consiglio si pone come complementare a quella di Enrico Letta: non solo un compensativo in termini di divisione delle cariche istituzionali tra i due player della formazione del governo, ma un vero e proprio contraltare delle politiche e dell’immagine del Presidente del Consiglio, rappresentante “senza portafoglio” del Partito Democratico.
La “strana coppia”
In entrambi i casi, il riferimento al Governo e ai Ministri è preponderante, com’è logico che sia trattandosi di un periodo di copertura dello stato nascente della compagine governativa. Ma colpiscono due differenze sostanziali, che rispondono alla domanda cosa è “passato” della comunicazione del Presidente e del Vicepresidente del Consiglio nei titoli dei quotidiani. Enrico Letta e Angelino Alfano dimostrano la loro complementarietà, il loro essere una “strana coppia”, rappresentazione di istanze politiche e sociali diversissime, e nella misura in cui quest’elemento può essere considerato un obiettivo delle forze politiche di cui sono rappresentanza, l’obiettivo è raggiunto. Letta è legato a parole-chiave non solo care al centrosinistra, ma che connotano il suo operato di Presidente del Consiglio in senso costruttivo e rassicurante. Spiccano certamente riferimenti ai principali competitor, Berlusconi e Grillo, tra i quali la dimensione della parola (che nel grafico è funzione del numero di occorrenze nei titoli degli articoli) dimostra una certa “par condicio”. Ma allo stesso livello, spicca la parola Crescita, subito seguita da Lavoro. Chiavi che un Presidente del Consiglio di centrosinistra, al governo in un momento di profondissima crisi economica, non può esimersi dall’usare. Segue il binomio inscindibile Tasse/IMU, segno dei tempi e della polemica alla base dell’apertura dei lavori del “governissimo”, ma poi la rotta riprende coerente, con Fiducia e Riforme ben in evidenza. La carica semi-oppositoria, comunque espressione di energie contestatorie imbrigliate da un’esperienza di governo di unità nazionale ma pronte a rivendicare la loro visibilità e centralità nelle fila dell’elettorato di centrodestra, emerge con altrettanta chiarezza nelle parole-chiave legate ad Angelino Alfano. Torreggia il riferimento all’altro dioscuro, Letta, che occupa per intero la soglia d’attenzione relativa alle altre forze politiche; Grillo è fuori dalla scena, il dialogo come lo scontro sono rivendicati come bipolari. Passando ai temi del dibattito, la situazione è speculare alla precedente: il binomio Sicurezza/Rassicura galleggia tra due batterie di termini che rimandano comunque a momenti di alta conflittualità politica. Si tratti di frequenza d’uso maggiore (TAV, Piazza, Lite) o minore (Brescia, Assalto, Delinquenti, Giudici), l’intenzione comunicativa che emerge da queste parole-chiave non è certamente quella di esprimere istituzionalità e ingenerare fiducia nell’esperimento del “governissimo”; piuttosto, emerge con chiarezza la volontà di porre sul tavolo ed investire sin da ora su una serie di temi che costituiranno la campagna elettorale prossima ventura. Dalla quale, auspicabilmente per il Vice Presidente del Consiglio, esca un primo partito non solo diverso da quello attuale, ma in possesso dei numeri per formare un governo “monocolore” o al massimo “microcoalizionale”.
Le parole di Kyenge e Saccomanni
Come si pongono in questo contesto i componenti della squadra di governo? In primo luogo, occorre distinguere due Ministri che, nel periodo preso in esame, hanno accumulato una sorta di bonus millemiglia di presenza nei titoli dei giornali, tale da garantir loro un ruolo di centralità nel dibattito pubblico anche a fronte di un eventuale calo dell’attenzione mediale nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Kyenge e Saccomanni, 77 articoli la prima, 58 il secondo, rappresentano due anime indimenticabili di questa strana compagine governativa. La nera che si batte per le pari opportunità anche al di fuori del galateo istituzionale, e l’economista in corsa per la successione a Draghi, impongono molto chiaramente i loro “cavalli di battaglia” nello specchio dei media. Ma il risultato è ben diverso, se non opposto. A dominare le parole-chiave associate a Kyenge è “Ius Soli”, il cuore del suo programma politico, sinora difeso con forza e coerenza; segue “Lega” e, con minore occorrenza, “Insulti”: una necessaria incursione nel territorio della spettacolarizzazione e del conflitto con un soggetto politico naturaliter opposto ai suoi punti di vista, e a un modo di fare politica e dibattito pubblico contrario al suo stile e ai suoi principi. All’ottima prova di Kyenge si contrappone un risultato meno convincente di Saccomanni: nel novero delle parole-chiave legate al Ministro dell’Economia, più ricco e articolato nonostante il numero minore di articoli dedicato, dominano riferimenti “da governo tecnico” come UE e Bruxelles, accompagnati da riferimenti, naturali ma politicamente difficili da gestire in sinergia con i precedenti, quali Conti e Tasse. Un insieme che concede ben poco al cambiamento, alo stacco dal governo Monti che, in un modo o nell’altro, il nuovo esecutivo deve garantire.
Che dire del resto della squadra di governo?
L’attenzione mediale rispetto agli altri Ministri, nei titoli dei quotidiani, cala, e rende più difficile formulare giudizi. Due elementi possono essere portati all’attenzione: una distinzione abbastanza netta tra frequent flyers (Bonino, 35 articoli; Zanonato, 28; Cancellieri, 25; Bray, 21; Delrio, 20; Idem, 19) e personaggi che rischiano di perdere il volo, per volontà di “occultamento”, contingenze di agenda o temporanea difficoltà di imporre la propria presenza (Lupi, 15 articoli; Giovannini, 12; De Girolamo, 10; Quagliariello, 11; Mauro, 8; Carrozza, 8; Lorenzin, 8; Orlando, 8; Franceschini, 7; Trigilia, 4; Moavero Milanesi, 3; Patroni Griffi, 2; D’Alia, 2).
Le parole di Emma Bonino
Sia consentito di sorvolare sull’analisi dettagliata di ognuno di questi casi, e di chiudere con un ultimo voto positivo, che spetta al Ministro degli Esteri. Le parole-chiave legate ad Emma Bonino, infatti, dimostrano un’immediata full immersion nel suo ruolo, che prevede di preoccuparsi anzitutto del caso dei Marò il cui destino è legato ai rapporti con il governo indiano, e a quello di Domenico Quirico, il giornalista de “La Stampa” disperso in Siria. Una nuvola di parole che dimostra concretezza e impegno immediato, ma nella quale non manca, e non manca di avere il giusto peso, il termine Diritti, volto a manifestare la linea entro la quale l’impegno sul campo del Ministro degli Esteri si muove.
Christian Ruggiero, Osservatorio Mediamonitor Politica, Dipartimento CoRiS, Sapienza